La
cura delle malattie più gravi come i tumori passa attraverso i
farmaci biotecnologici. Questi, tuttavia, conoscono in Italia un impiego
ancora limitato, soprattutto per il loro costo molto elevato rispetto
alle molecole di sintesi. Il mercato del biotech farmaceutico nel nostro
Paese rappresenta, infatti, circa il 40% della spesa ospedaliera. Eppure
un modo per contenere i costi c'è: i farmaci biosimilari potrebbero,
infatti, consentire un risparmio medio del 30% rispetto al medicinale
originatore. A più di tre anni dall'introduzione del primo biosimilare,
l'ormone della crescita umana ricombinante lascia a desiderare la conoscenza
di queste nuove versioni 'non griffate' di medicinali biotecnologici a
brevetto scaduto. Fra i medici uno specialista su 5 ancora non sa dare
una definizione di questa categoria farmacologica o la confonde con quella
dei generici. Il motivo dello scarso sviluppo dei biosimilari è
a volte causato dal dubbio che questi prodotti possano garantire lo stesso
profilo di qualità, efficacia e sicurezza rispetto al biotech di
riferimento.
I medicinali simili ma non uguali all'originale biotech, infatti, pur
essendo già una realtà nella pratica clinica, restano un'incognita
per un malato di tumore su due: il 52% non ne ha mai sentito parlare.
Sei pazienti su 10, inoltre, non sanno dire se queste molecole siano già
disponibili in Italia e il 46% ignora i possibili effetti collaterali.
In mancanza di informazioni certe, solo il 15% sarebbe però disposto
a cambiare il farmaco biologico che assume con una 'copia' se il medico
glielo proponesse e appena l'8% ritiene il minor costo un motivo valido
per sostituire la propria terapia. Sono i risultati del primo sondaggio
nazionale sui pazienti promosso dalla Fondazione dell'Associazione italiana
di oncologia medica (Aiom), in collaborazione con la Società italiana
di Nefrologia (Sin), la Federazione italiana delle associazioni di volontariato
in oncologia (Favo) e l'Associazione italiana malati di cancro, parenti
e amici (Aimac), condotto nel giugno 2010. Dall'indagine, che ha coinvolto
in totale 356 pazienti, emerge inoltre che 9 malati su 10 ritengono utile
che venga indicato chiaramente sulle confezioni e sulle ricette che si
tratta di un farmaco biosimilare e non del prodotto originale. "I
pazienti - ha detto Francesco De Lorenzo, presidente Favo e Aimac - esigono
risposte e si stanno documentando". A domanda diretta, infatti, "oggi
il 54% sa che i farmaci biosimilari non sono copie esatte degli 'originator'
come i generici, il 60% crede che duplicare un biologico non sia come
replicare una molecola chimica e il 40% è consapevole che questi
prodotti sono sotto stretta sorveglianza per la sicurezza. Il punto critico
per noi non è biosimilari sì o biosimilari no: i malati
pretendono norme chiare dal Parlamento, linee guida dalle società
scientifiche e sorveglianza da parte dei clinici per avere sempre farmaci
efficaci, sicuri e possibilmente più economici".
Oggi i biosimilari sono studiati e valutati con grande attenzione dalle
agenzie regolatorie europea (Ema) e nazionale (Aifa),che hanno messo in
atto procedure di autorizzazione all'immissione in commercio molto accurate
e rigorose, che garantiscono l'efficacia e la sicurezza dei nuovi farmaci
biosimilari. Per le loro caratteristiche biotecnologiche, i biosimilari
sono valutati dall'Ema tramite procedura centralizzata. Per ogni singolo
prodotto vengono create specifiche linee guida vincolanti a struttura
gerarchica. Per quanto riguarda gli studi clinici, poi, oltre a quelli
di fase I, sono richiesti dall'Ema studi randomizzati di fase III, che
devono essere eseguiti sempre in confronto all'originatore. Una caratteristica
importante dei biosimilari è l'equivalenza terapeutica, testimoniata
anche da studi clinici di confronto con gli stessi originatori. Questi
farmaci, infatti, inducono gli stessi effetti preclinici e clinici del
farmaco biotecnologico di riferimento e possono, quindi, essere utilizzati
per le stesse indicazioni.
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