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Numerosi
studi di epidemiologia osservazionale mostrano come i consumatori di dosi
moderate di bevande alcoliche (e cioè inferiori a 40 grammi di
alcool al giorno in soggetti di sesso maschile ed a 30 grammi nei soggetti
di sesso femminile) beneficino di un rischio cardiovascolare ridotto rispetto
ai soggetti astemi. La riduzione del rischio è mediamente compresa
tra il 25 e il 35%.
Nell'Health Professional Follow-up Study, per esempio, condotto su circa
45.000 soggetti di sesso maschile ed età intermedia, senza evidenza
di malattia coronarica all'arruolamento, si osservò che i soggetti
che consumavano 30 g di alcool al giorno o più avevano un rischio
di eventi coronarici nel tempo inferiore del 35% circa ai soggetti totalmente
astemi (1). Successivamente, dati analoghi sono stati ottenuti anche tra
soggetti con storia personale di infarto miocardico (2). Anche la mortalità
durante un episodio infartuale acuto, secondo dati molto recenti, è
inferiore tra coloro che durante l'anno precedente all'infarto stesso
avevano consumato bevande alcooliche (1 o più drink al giorno)
rispetto a soggetti di riferimento astemi (3).
Anche la malattia aterosclerotica extra-coronarica è influenzata
favorevolmente da consumi moderati di alcool. Nel 1997 Camargo ha dimostrato
che l'incidenza di nuovi casi di arteriopatia obliterante degli arti inferiori
è ridotta di oltre il 25% tra i consumatori di almeno un drink
al giorno, sempre rispetto ai soggetti astemi (4). Successivamente è
stato documentato un effetto favorevole del consumo di dosi moderate di
alcool anche sul rischio di eventi cerebrovascolari di natura ischemica.
In uno studio caso-controllo si è infatti osservata l'esistenza
di una correlazione molto evidente, ed altamente significativa, tra consumi
di bevande alcoliche e rischio di ictus (5). La relazione ha una conformazione
a "J", o a bastoncino d'ombrello: i bevitori moderati, in altre
parole, beneficiano di un rischio di eventi cerebrovascolari inferiore
sia a quello degli astemi sia a quello dei consumatori eccessivi, che
è il rischio massimo osservato. Questa curva è relativamente
frequente in tutti gli studi epidemiologici sulla relazione tra alcool
ed una serie di patologie. Inoltre in questo studio la bevanda consumata
preferenzialmente (vino, birra, liquori), sempre nell'ambito delle dosi
classificate come moderate (non più di 3 drinks al giorno), era
ininfluente ai fini dello sviluppo di protezione cerebrovascolare.
Poiché gli eventi cardiovascolari rappresentano la principale causa
di morte nelle società occidentali evolute, l'effetto di protezione
cardiovascolare indotto dal consumo di alcool dovrebbe tradursi in un
effetto favorevole anche sulla mortalità per tutte le cause. In
uno studio dell'American Cancer Society, condotto su circa 500.000 soggetti
con un età da 30 ad oltre 100 anni, si è in effetti documentato
come anche la mortalità totale sia ridotta nei soggetti che consumano
uno-due drinks al giorno di alcool rispetto ai soggetti astemi (6). L'associazione
è particolarmente evidente nei soggetti di sesso maschile, nei
quali tale riduzione è del 25% circa, ma è significativa
anche nella popolazione femminile. Tra le donne il minimo di mortalità
si osserva per le bevitrici di un drink al giorno, e la riduzione, rispetto
alle astemie, è del 20% circa.
I meccanismi attraverso i quali un consumo moderato di alcool svolge un
effetto favorevole sugli eventi cardiovascolari, e quindi sulla mortalità
per qualunque causa, sono numerosi, ed in larga parte conosciuti.
E' noto infatti che tra i consumatori di alcool i valori del colesterolo
HDL, il cui ruolo antiaterogeno è ben accertato, sono superiori
rispetto a quelli che si riscontrano nei soggetti astemi. Anche in questo
caso non si osserva una significativa differenza, per quanto riguarda
l'effetto sul colesterolo HDL, tra i consumatori delle varie bevande alcoliche
(7). Recentemente è stato dimostrato che l'aumento della frazione
lipoproteica HDL nei soggetti che consumano dosi moderate di alcool è
attribuibile a un aumento della sintesi della principale apolipoproteina
delle HDL, l'apolipoproteina A-I (8). Consumi moderati di alcool influenzano
peraltro favorevolmente anche i livelli plasmatici della lipoproteina
(a), e vari fattori coinvolti nei processi della fibrinolisi o della trombosi
(9). Ad esempio, la fibrinogenemia correla in maniera inversa con il consumo
di alcool, mostrando un trend decrescente al crescere dei consumi nella
popolazione femminile; nella popolazione maschile la correlazione tra
fibrinogeno e consumo di alcool ha invece un andamento ad "U",
con un minimo per consumi attorno ai 30-40 g al giorno (10). La concentrazione
plasmatica dell'attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) cresce invece
in modo continuo passando da soggetti sostanzialmente astemi a quelli
con consumi mensili, settimanali o quotidiani di alcool (11). Recentemente,
è stata associata al consumo di alcool anche la riduzione della
concentrazione plasmatica della proteina C reattiva (PCR) (12), che rappresenta
come è noto un indicatore di flogosi cui si attribuisce attualmente,
sul piano prognostico, un ruolo importante nel paziente a rischio cardiovascolare
o con una storia di malattia coronarica conclamata.
Naturalmente i risultati degli studi di epidemiologia osservazionale non
sfuggono a possibili interpretazioni di tipo non-causale. Alcuni autori
hanno infatti ipotizzato che l'associazione tra consumi moderati di alcool
e riduzione del rischio coronarico possa nascere da elementi confondenti,
non noti e per i quali non è quindi possibile effettuare gli opportuni
"aggiustamenti" statistici (il consumo di alcool, in questo
caso, potrebbe essere solamente il "segnalatore" dell'esistenza
di caratteristiche del soggetto, o del suo stile di vita, che conferiscono
protezione cardiovascolare).
Un recente lavoro tuttavia rende meno probabile questa interpretazione
dei dati disponibili. Condotto sempre sulla coorte del Physician Health
Study, questo studio ha esaminato la relazione tra consumi di alcool a
dosi moderate e rischio coronarico in soggetti con differenti polimorfismi
del gene dell'ADH3, uno dei tre isoenzimi dell'enzima alcool deidrogenasi,
che rappresenta come è noto il primo gradino metabolico di ossidazione
dell'alcool. I ricercatori hanno osservato che i soggetti con uno specifico
polimorfismo dell'ADH3, che si associa ad una minore attività catabolica
dell'enzima nei riguardi dell'alcool, beneficiano di una maggiore protezione
dagli eventi cardiovascolari (13). Questa osservazione mostra, in ultima
analisi, che i soggetti esposti ad una maggiore area sotto la curva dell'alcolemia
dopo il consumo di una dose standard di alcool, beneficiano di una maggiore
riduzione del rischio. Questi dati depongono quindi a favore di un'interpretazione
di tipo causale della relazione tra dosi moderate di alcool e protezione
vascolare (un'associazione tra questi polimorfismi e lo stile di vita
è infatti altamente improbabile, vista la loro totale asintomaticità).
Alcuni filoni della ricerca sulle bevande alcoliche hanno ipotizzato che
una parte più o meno consistente della protezione coronarica documentata
in molti studi tra i consumatori di bevande alcoliche sia in realtà
dovuta soprattutto al consumo di vino rosso, e sia attribuibile non necessariamente
all'alcool stesso, ma anche o in prevalenza ai composti polifenolici largamente
rappresentati in questa bevanda, tra i quali il più noto, anche
se probabilmente non il più significativo, è il resveratrolo.
Questi composti sono in effetti in grado di bloccare, in modelli in vitro,
l'ossidazione delle LDL, con un'efficienza superiore rispetto a quella
di antiossidanti ben studiati e conosciuti come la vitamina E; essi posseggono
inoltre alcuni effetti diretti sulle cellule della parete arteriosa (lo
stimolo della funzione endoteliale, la riduzione della sintesi di molecole
di adesione o di composti di natura infiammatoria) di potenziale interesse
antiaterogeno (14,15,16).
La maggior parte degli studi epidemiologici disponibili, in realtà,
mostra che tutte le bevande alcooliche, a parità di contenuto di
alcool, si associano ad un'analoga riduzione del rischio di incorrere
in eventi cardiovascolari (17,18). Una protezione cardiovascolare associata
a moderati consumi di alcool, inoltre, è stata descritta anche
in aree, come in Cina, dove il vino è di fatto sconosciuto, e tra
i consumatori di birra (19,20). Tutto ciò suggerisce che il principale
responsabile dell'effetto protettivo sia probabilmente l'alcool (contenuto
in tutte le bevande considerate), e che il contributo dei componenti minori
ricordati, se realmente esistente, non sia di ampiezza particolarmente
rilevante.
Nel loro
complesso quindi, i dati disponibili, indicano chiaramente che il consumo
di dosi moderate di alcool, non superiori a 40 grammi al giorno nell'uomo
ed a 20-30 nella donna, si associano ad una riduzione del rischio di infarto
miocardico e degli altri eventi clinici correlati alla malattia aterosclerotica
in soggetti di ambo i sessi. La trasferibilità di queste informazioni
alla popolazione generale è oggetto di una vivace discussione tra
gli addetti ai lavori (21,22,23); l'Organizzazione Mondiale della Sanità,
e molte associazioni di alcologia vicine all'OMS stessa, in particolare,
ritengono potenzialmente pericolosa la diffusione al pubblico di questi
dati, ipotizzando che essi possano indurre ad un consumo eccessivo delle
bevande alcoliche, che a dosi elevate sono come è noto responsabili
di fenomeni patologici e sociali gravi (per esempio l'aumentata incidenza
di cirrosi, soprattutto nei soggetti con pregressa infezione da virus
epatitici, o di incidenti stradali o di infortuni sul lavoro, causati
dalla riduzione di attenzione e di controllo di alcune funzioni motorie
indotta da un'alcolemia superiore a determinati livelli soglia).
Una simile posizione è difficilmente accettabile, secondo lo scrivente,
dal mondo medico, cui spetta il ruolo di educare ed informare il pubblico
a separare chiaramente i comportamenti di abuso da quelli che prevedono
un uso moderato e responsabile dell'alcool.
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