NCEP-DEFINED METABOLIC SYNDROME, DIABETES, AND PREVALENCE OF CORONARY HEART DISEASE
AMONG NHANES III PARTICIPANTS AGE 50 YEARS AND OLDER

Alexander CM, Landsman PB, Teutsch SM, Haffner SM
Diabetes 2003; 52:1210-1214

La presenza contemporanea frequente di obesità, iperlipidemia, diabete ed ipertensione è stata descritta per la prima volta alla fine degli anni '60. Questa associazione (diabete, ipertensione ed obesità con iperlipidemia) è stata successivamente sottolineata alla fine degli anni '70 da alcuni ricercatori tedeschi. Essi hanno coniato il termine "sindrome metabolica" e descritto la sua correlazione con l'aterosclerosi. Nel 1991 Ferrannini et al. hanno definito lo stesso insieme di anomalie presenti in questa sindrome metabolica e cardiovascolare come causato dall'insulino-resistenza e hanno concluso che il nome più appropriato per questa condizione era "sindrome di insulino-resistenza". Circa nello stesso periodo, Reaven et al. convenivano che l'insulino-resistenza era la causa di queste anomalie, ma, inizialmente, non inclusero l'obesità addominale e utilizzarono il termine "sindrome X". Le tre terminologie (sindrome metabolica, sindrome di insulino-resistenza e sindrome X) si riferiscono tutte allo stesso insieme di fattori di rischio associati all'aterosclerosi e alla malattia cardiaca coronarica (CHD). Di fatto, alcuni ricercatori hanno scoperto che, fra i soggetti non diabetici del Framingham Offspring Study, un'associazione di fattori di rischio, inclusi iperinsulinemia, dislipidemia, ipertensione e intolleranza al glucosio (più che la sola iperinsulinemia) definiva le caratteristiche alla base della sindrome di insulino-resistenza.
La patofisiologia di questa sindrome è un argomento sempre oggetto di continue controversie, sebbene qualcuno abbia ipotizzato un rapporto casuale fra insulino-resistenza e/o adiposità viscerale. Nello stesso tempo, è divenuto sempre più evidente che anche piccoli aumenti dei valori di glicemia, a digiuno o postprandiale (comprese alterate tolleranza al glucosio o glicemia a digiuno), rivelano un rischio aumentato di morbidità e mortalità cardiovascolare. Nel Quebec Prospective Study, i ricercatori hanno mostrato che anche in assenza di iperglicemia, di livelli elevati di insulina (ad es. insulino-resistenza), di LDL piccole e dense e di apolipoproteina B sono stati associati a rischio di malattia cardiaca ischemica.
Nel 2001, il National Cholesterol Education Program (NCEP) Adult Treatment Panel (ATP) III ha fornito una definizione per la sindrome metabolica. I criteri del NCEP sono di semplice utilizzo per i medici, poichè le variabili che definiscono la sindrome metabolica sono comunemente disponibili nella pratica clinica. Alcuni ricercatori avevano precedentemente mostrato che la sindrome metabolica è frequente nelle persone di età uguale o superiore a 50 anni. Dato che l'intolleranza al glucosio è una parte importante della sindrome metabolica e tende ad aumentare con l'avanzare dell'età, questo studio ha rivolto l'attenzione alle interazioni fra sindrome metabolica, iperglicemia e prevalenza di CHD.
Per classificare gli adulti di età superiore a 50 anni in base alla presenza di sindrome metabolica (definizione del National Cholesterol Education Program [NCEP]) con o senza diabete è stato utilizzato il terzo National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III). L'informazione demografica e sui fattori di rischio è stata determinata per ogni gruppo, così come la proporzione in ciascun gruppo di soggetti che soddisfacevano i criteri specifici della sindrome metabolica. E' stata poi valutata la prevalenza di CHD in ciascun gruppo. La sindrome metabolica è molto frequente, con circa il 44% della popolazione americana over 50 che rientra nei criteri del NCEP. Il diabete senza sindrome metabolica invece è raro (il 13% dei soggetti diabetici). Gli over 50 senza sindrome metabolica, nonostante il diabete, avevano la prevalenza più bassa di CHD (8,7% non diabetici, 7,5% diabetici). Confrontati con i soggetti affetti da sindrome metabolica, i diabetici senza sindrome non avevano un aumento della prevalenza di CHD. Quelli con sindrome metabolica non diabetici avevano una prevalenza più alta di CHD (13,9%), e quelli sia con sindrome metabolica che diabete avevano la più alta prevalenza di CHD (19,2%),nei confronti degli individui che non avevano le due patologie. La sindrome metabolica era un predittore univariato significativo di prevalenza di CHD (OR 2,07; IC 95% 1,66-2,59). Tuttavia, pressione sanguigna, colesterolo-HDL e diabete, ma non sindrome metabolica, erano predittori multivariati significativi di prevalenza di CHD. La prevalenza di CHD aumentava notevolmente in presenza di sindrome metabolica. Fra le persone diabetiche, la prevalenza di sindrome metabolica era molto alta, ed i diabetici affetti anche da sindrome metabolica avevano la prevalenza più elevata di CHD. Fra tutti gli individui diabetici, la prevalenza di CHD era aumentata rispetto a quelli con sindrome metabolica, ma senza diabete. Tuttavia, gli individui con diabete senza sindrome metabolica non avevano una prevalenza di CHD maggiore nei confronti di quelli che non avevano nessuna delle due patologie.
Questi risultati sono riassunti nella tabella sotto riportata.

Rischio attribuibile di sindrome metabolica (SM) e di diabete per CHD nella popolazione statunitense (età >50)

 
- DIABETE
+ DIABETE
+ SINDROME METABOLICA
- SINDROME METABOLICA
+ SINDROME METABOLICA
Popolazione totale
21.841.000
1.750.000
11.263.000
Popolazione con CHD
3.036.000
131.000
2.162.496
Rischio attribuibile
37,4%
NV
54,7%

NV=non valutabile

In conclusione, la prevalenza di CHD aumenta in presenza di sindrome metabolica. Questa patologia è altamente frequente nei diabetici ed in questo gruppo di pazienti si osserva la più alta prevalenza di malattia coronarica.