MYELOPEROXIDASE
SERUM LEVELS PREDICT RISK IN PATIENTS WITH ACUTE CORONARY SYNDROMES
Baldus S, Heeschen C, Meinertx T et al.
Circulation 2003; 108:1440-1445
I
pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) sono caratterizzati da aumentata
attivazione e aggregazione piastrinica nella circolazione coronarica.
La formazione di trombi conseguente alla rottura o erosione di una placca
aterosclerotica e l'embolizzazione distale degli aggregati piastrinici
può portare alla necrosi del miocita. L'occorrenza di danno miocardio
minore, quale quello osservato nella ACS, è rilevabile misurando
il rilascio di troponina. La determinazione di questo indicatore è
emerso come strumento efficace e potente per la valutazione del rischio
e la gestione terapeutica dei pazienti con ACS.
Evidenze crescenti dimostrano che il danno delle cellule miocardiche non
è correlato solamente all'attivazione piastrinica, ma è
anche preceduto dal reclutamento e attivazione dei neutrofili polimorfonucleati
(PMN). Malgrado queste cellule abbiamo un ruolo apparentemente insignificante
nell'aterogenesi coronarica, nella ACS è stato dimostrato un aumento
di degranulazione neutrofila all'interno della circolazione coronarica.
Uno dei principali mediatori secreto durante l'attivazione dei PMN è
la mieloperossidasi (MPO), una emoproteina abbondantemente espressa da
queste cellule, tradizionalmente considerata un enzima microbicida. Esistono
tuttavia evidenze circa una potente attività proaterogena di questa
proteina. Ad esempio la MPO può ossidare il colesterolo LDL, predisponendolo
all'uptake da parte dei macrofagi e supportando la formazione delle
foam cells. Inoltre l'MPO attiva le metalloproteinasi e promuove la destabilizzazione
e rottura della superficie della placca; consuma cataliticamente l'ossido
nitrico derivato dall'endotelio, riducendone la biodisponibilità
e alterandone le proprietà vasodilatatorie e anti-infiammatorie.
Nei pazienti con angina instabile ed infarto miocardio sono stati riscontrati
elevati livelli plasmatici di MPO. Uno studio caso-controllo ha mostrato
che i livelli di MPO nei PMN e nel sangue intero sono associati in modo
indipendente con la prevalenza di malattia coronarica stabile.
Gli autori di questo lavoro hanno ipotizzato che i livelli di MPO possano
permettere di identificare i pazienti a rischio aumentato di eventi cardiovascolari,
indipendentemente dalla presenza di necrosi miocardica. Hanno quindi valutato
l'informazione prognostica fornita dai livelli di questa proteina, utilizzando
un database di pazienti con ACS arruolati nello studio CAPTURE
(c7E3 anti-platelet therapy in unstable refractory angina).
Questo trial aveva arruolato 1265 pazienti con ACS (61% maschi, di età
61+10 anni) e dolore ricorrente al petto a riposo, associato a
modificazioni dell'ECG durante il trattamento con eparina e nitroglicerina
endovena. Tutti i pazienti erano stati sottoposti ad esame angiografico
e ad intervento di angioplastica tra le 18 e le 24 ore dall'inizio del
trattamento allo studio (abciximab, un antagonista del recettore glicoproteico
IIb/IIIa, o placebo). Gli end point primari erano la mortalità
e l'infarto miocardio durante i 30 giorni di follow-up. Campioni di sangue
sono stati raccolti 8,7+4,9 ore dopo l'ultimo episodio di dolore
toracico per il dosaggio in cieco dei seguenti marker cardiaci: MPO serica,
fattore di crescita endoteliale vascolare, ligando CD40 solubile, troponina
cardiaca e proteina C-reattiva.
I pazienti sono stati categorizzati in terzili di MPO ed il rischio relativo
per eventi cardiovascolari è stato stimato con il modello di regressione
di Cox.
La MPO era misurabile nel siero basale di tutti i pazienti in studio,
con un valore mediano di 287 µg/L (1-5-1112 µg/L). Poiché
gli altri marker in esame interagivano con il trattamento, le analisi
esplorative sono state condotte solo sul gruppo placebo (n=547). Sono
stati considerati i seguenti terzili di MPO: <222 µg/L, 222-350
µg/L, >350 µg/L. L'end point combinato mortalità
e infarto non fatale rivelava un trend tra i terzili di MPO che era altamente
significativo a partire da 72 ore dopo l'ultimo episodio di dolore toracico.
Quando la MPO serica veniva posta in relazione ai tradizionali marker
di rischio, valutati nello studio, non si osservavano correlazioni significative.
Sulla base di questi risultati, tutti i pazienti sono stati stratificati
usando il valore soglia di 350 µg/L. A 72 ore il 14% dei pazienti
con livelli di MPO superiori al cut-off erano incorsi in morte o infarto
non fatale, mentre nel gruppo con livelli inferiori la percentuale era
del 5,1%. (p=0,001). Le due curve del rischio tuttavia non continuavano
a divergere dopo questo periodo di osservazione.
All'analisi multivariata che includeva le caratteristiche basali e gli
altri marker biochimici, i livelli di MPO continuavano ad essere un potente
predittore di rischio anche dopo 30 giorni (Hazard ratio corretto
per le covariate [HR] 1,8; intervallo di confidenza al 95% [IC 95%] 1,1-3,3;
p=0,013) e 6 mesi dall'arruolamento (HR 2,5; IC 95% 1,7-5,2; p=0,006).
La suddivisione dei pazienti in gruppi in base ai livelli di MPO e di
troponina ha permesso di identificare un sottogruppo con bassi livelli
di troponina (<0,01 mg/L), ma alti livelli di MPO (>350 mg/L) che
aveva un rischio cardiaco significativamente più elevato.
Il valore predittivo di MPO era anche indipendente dall'infiammazione
sistemica, evidenziata tramite la proteina C-reattiva, e dall'attivazione
piastrinica, valutata mediante il ligando CD40.
Da ultimo, l'effetto del trattamento con abciximab tendeva ad essere più
efficace nei pazienti con livelli elevati di MPO a 72 ore (HR 0,22; IC
95% 0,09-0,54; p<0,001), 30 giorni (HR 0,24; IC 95% 0,10-0,58; p=0,001)
e 6 mesi (HR 0,39; IC 95% 0,20-0,76; p=0,006). Tuttavia, in un modello
di analisi multivariata che includeva troponina, CD40 ed MPO, il CD40
rimaneva l'unico predittore indipendente dell'effetto del farmaco.
In conclusione, questo studio dimostra che la MPO è un predittore
potente di esiti clinici avversi nei pazienti con ACS. Soprattutto nei
soggetti con bassi livelli di troponina, la MPO identifica quelli a rischio
aumentato di futuri eventi cardiovascolari. Ciò suggerisce che
l'emoproteina smascheri stati di infiammazione acuta nella circolazione
coronarica indicativi di aumentata attivazione dei neutrofili, che precedono
il danno miocardio, Quindi la MPO non solo stratifica i pazienti con ACS,
ma aiuta a far luce sui complessi meccanismi patofisiologici che sottendono
questo stato, quali l'attivazione e la degranulazione dei PMN. La quantità
crescente di evidenze a supporto di un'attività proinfiammatoria
della MPO porta ad ipotizzare che l'enzima sia non solo un marker di attivazione
dei neutrofili, ma che contribuisca alla cascata infiammatoria durante
l'ACS. I dati dovranno essere confermati, ma già da ora incoraggiano
lo sviluppo di strategie farmacologiche finalizzate alla modulazione dell'attività
catalitica di questo enzima.
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