PROGNOSTIC
VALUE OF MYELOPEROXIDASE IN PATIENTS WITH CHEST PAIN
Brennan ML, Penn MS, Van Lente F et al.
NEJM 2003; 349:1595-1604
GLUTATHIONE
PEROXIDASE 1 ACTIVITY AND CARDIOVASCULAR EVENTS IN PATIENTS WITH CORONARY
ARTERY DISEASE
Blankenberg S, Rupprecht HJ, Bickel C
NEJM 2003; 349:1605-1613
Secondo
due studi pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine
del 23 ottobre scorso, i livelli serici dell'enzima mieloperossidasi e
glutatione perossidasi 1 possono aiutare a predire il rischio di eventi
cardiovascolari. I peptidi sono collegati ad altri nuovi marker di infiammazione
e di rischio coronarico, quali le molecole di adesione e le metalloproteasi
(indicatori di vulnerabilità di placca) e riflettono la crescente
consapevolezza dell'importanza della rottura della placca aterosclerotica
nello sviluppo di eventi coronarici.
Il primo studio è nato dalla constatazione che molti pazienti con
dolore toracico, pur avendo livelli normali dei marker biologici di necrosi
miocardica, quali l'isoenzima della creatin chinasi (CPK-MB) e le troponine
cardiache, soffrivano di eventi cardiaci avversi maggiori (MACE: IM, necessità
di rivascolarizzazione e morte) nel periodo immediatamente successivo.
Secondo gli autori erano necessari indicatori biochimici aggiuntivi, idealmente
basati sulla patofisiologia della vulnerabilità di placca. Hanno
quindi valutato il valore della mieloperossidasi (MPO), un enzima secreto
in seguito ad attivazione dei leucociti e presente in concentrazioni elevate
in presenza di placche aterosclerotiche instabili, nel predire gli eventi
cardiovascolari in 604 pazienti consecutivi che si erano presentati ad
un dipartimento di emergenza con dolore al petto. I livelli di MPO iniziali
erano compresi tra 0 e 4666 pM, con un valore mediano di 198 pM, e predicevano
il rischio di infarto del miocardio (IM) anche nei pazienti negativi per
la troponina T (<0,1 ng/mL) al basale (p<0,001). Essi inoltre predicevano
il rischio di eventi MACE nei 30 giorni e 6 mesi successivi alla presentazione
in emergenza (p<0,001), anche nei pazienti senza evidenza di necrosi
miocardica (negativi alla troponina T). Mentre i livelli di proteina C-reattiva
erano predittivi sia di IM che di MACE a 6 mesi nella totalità
dei pazienti, non lo erano in quei soggetti negativi per la troponina.
Il test combinato di MPO e troponina T predice l'84,5% degli eventi MACE,
in confronto al 58,0% della sola troponina.
Quindi l'aggiunta della misura dei livelli serici di MPO allo screening
iniziale per la stratificazione del rischio nei pazienti con dolore toracico
permette di identificare quei soggetti a rischio elevato, altrimenti rilevabili
con una procedura diagnostica invasiva.
Il
secondo studio ha esaminato la capacità della glutatione perossidasi
1 (GPO-1) e della superossido dismutasi nella determinazione del rischio
cardiovascolare in 636 pazienti con sospetta patologia coronarica. Studi
sugli animali avevano portato a supporre che questi enzimi cellulari antiossidanti
potessero proteggere dall'aterosclerosi, ma poco era noto sulla loro rilevanza
nella patologia umana.
Dopo un periodo di follow-up di 4,7 anni è stato osservato che
l'attività basale di GPO-1 era tra i più potenti predittori
di rischio di eventi cardiovascolari. I pazienti nel quartile più
alto di attività GPO-1 (>56,31 U/g di emoglobina) avevano un
hazard ratio di 0,29, quando confrontati con quelli del quartile
più basso (<42 U/g emoglobina) (p<0,001). Sebbene i livelli
fossero influenzati dal sesso e dal fumo, il potere predittivo dell'enzima
rimaneva praticamente inalterato, dopo aggiustamento per questi e altri
fattori di rischio cardiovascolare. Anche l'aggiustamento per i marker
infiammatori, quali le molecole di adesione solubili e l'interleuchina-18,
non influenzavano la capacità prognostica di GPO-1. Per contro,
l'attività dell'enzima superossido dismutasi non era correlata
al rischio di eventi.
Secondo gli autori la misura della GPO-1 fornisce un'informazione aggiuntiva
sul rischio e potrebbe essere utile nell'identificazione di quei soggetti
che trarrebbero benefici da un trattamento con antiossidanti a scopo preventivo.
Nell'editoriale
che accompagna le due pubblicazioni, Teri Manolio sottolinea che entrambi
gli enzimi possiedono due caratteristiche di un marker ideale di rischio:
forniscono informazioni indipendenti e rispondono di una larga proporzione
del rischio associato alla malattia cardiaca.
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