Fonte:
Theheart.org
All'European
Society of Cardiology Congress 2004 di Monaco sono stati presentati
nuovi dati dello studio INTER-HEART, uno dei più grandi
studi caso-controllo retrospettivo, disegnato per valutare i fattori di
rischio per le malattie coronariche. In questo studio sono stati arruolati
più di 29.000 soggetti presso 262 centri in 52 paesi.
15.152 pazienti con un primo infarto del miocardio (IM) sono stati accoppiati
a 14.820 soggetti sani, bilanciati per l'età. Approssimativamente
il 25% dei soggetti arruolati era europeo, il 25% cinese, il 20% del Sud
Asia, 13% del Medio Oriente, 12 del Sud America e 5% dell'Africa.
Sono state raccolte informazioni demografiche, sullo stile di vita, la
storia medica, alcuni fattori psicosociali (stress, depressione) e l'utilizzo
di farmaci, mediante un questionario. Inoltre sono state rilevate altezza,
peso, circonferenza vita/fianchi, pressione sanguigna, frequenza cardiaca
ed è stato raccolto un campione di sangue.
E' stato calcolato il rischio attribuibile alla popolazione (PAR), ossia
il rischio relativo associato ad un dato fattore nel contesto della prevalenza
della condizione all'interno della popolazione.
Più del 90% del rischio globale di sviluppare un IM acuto è
predetto da 9 fattori di rischio classici: diabete, ipertensione, apoB/apoA-1,
fumo, obesità addominale, fattori psicosociali, assunzione giornaliera
di frutta e verdure, esercizio fisico e assunzione di alcol. Questa parte
del rischio è quindi prevedibile e prevenibile. L'impatto dei suddetti
fattori di rischio è lo stesso nei vari gruppi etnici ed in ogni
regione del mondo.
Il rapporto tra i livelli di apolipoproteina B e apolipoproteina A-1 e
l'abitudine al fumo sono i due predittori di rischio più forti;
considerati insieme predicono infatti il 66% del rischio globale di IM.
Il dosaggio delle apolipoproteine è di facile esecuzione e fornisce
un indice della concentrazione delle proteine aterogene. Dividendo i valori
del rapporto in decili si osserva un incremento costante del rischio;
ciò significa che nessun soggetto ha un profilo lipidico che può
proteggerlo dal rischio di malattie cardiache. Questo implica che il modo
più importante per prevenire le malattie cardiache è una
modificazione della società, finalizzata a diminuire le distribuzioni
dei fattori di rischio nella popolazione.
L'abitudine al fumo aumenta di 3 volte il rischio di IM. L'effetto negativo
è rilevabile anche a bassi livelli: i soggetti che fumano da 1
a 5 sigarette al giorno mostrano un incremento del rischio del 40%, quelli
che fumano da 6 a 10 sigarette al giorno di 2 volte, quelli che ne fumano
più di 20 al giorno di ben 4 volte. Quindi nei forti fumatori che
non riescono a smettere, anche una diminuzione può produrre un
beneficio consistente.
L'indice di massa corporea contribuisce al rischio, ma in modo molto marginale,
mentre l'obesità addominale è risultata più importante
e dovrebbe quindi definitivamente sostituire il primo fattore.
Un'altra evidenza importante è che i nove fattori di rischio sono
più predittivi nei giovani che negli anziani, rinforzando la convinzione
che le malattie cardiache possono essere prevenute, attraverso un impegno
preciso dei medici mirato alla riduzione dei fattori di rischio tradizionali
modificabili.
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