1.
C-REACTIVE PROTEIN LEVELS AND OUTCOMES AFTER STATIN THERAPY
Ridker PM, Cannon CP,
Morrow D, et al.
N Engl J Med 2005; 352:20-28
RIASSUNTO
CONTESTO Le statine diminuiscono i livelli di colesterolo LDL e
di proteina C-reattiva (PCR). Non è noto se quest'ultima proprietà
sia in grado di influenzare gli end-point clinici.
METODI Gli autori hanno valutato la relazione tra i livelli di
colesterolo LDL e di PCR raggiunti dopo un trattamento con 80 mg di atorvastatina
o 40 mg di pravastatina al giorno, e il rischio di infarto miocardico
ricorrente o di morte per cause coronariche fra 3.745 pazienti con sindrome
coronarica acuta.
RISULTATI I pazienti, nei quali la terapia con statine aveva ridotto
i livelli di colesterolo LDL al di sotto di 70 mg/dL (1,8 mmol/L), mostravano
un'incidenza di eventi inferiore rispetto a quelli con livelli più
elevati (2,7 vs 4 eventi per 100 anni-persona, p=0,008). Tuttavia, è
stata osservata una differenza virtualmente uguale tra coloro che avevano
livelli di PCR minori di 2 mg/L dopo la terapia ipolipemizzante e coloro
che avevano livelli più elevati (2,8 vs 3,9 eventi per 100 anni-persona,
p=0,006), un effetto evidente a tutti i livelli di colesterolo LDL ottenuti.
Per i pazienti con livelli di colesterolo LDL post-trattamento maggiori
di 70 mg/dL, le incidenze di eventi ricorrenti erano 4,6 per 100 anni-persona
fra quelli con livelli di CRP maggiori di 2 mg/L, e 3,2 eventi per 100
anni-persona fra quelli con livelli di CRP minori di 2 mg/L; le rispettive
incidenze di eventi fra i pazienti con livelli di colesterolo LDL minori
di 70 mg/dL erano 3,1 e 2,4 per 100 anni-persona (p<0,001). Anche se
atorvastatina era probabilmente più efficace di pravastatina nel
ridurre i livelli di colesterolo LDL e PCR, il raggiungimento di questi
target era più importante per la determinazione degli end-point
rispetto alla scelta precisa della terapia. I pazienti che avevano livelli
di colesterolo LDL inferiori a 70 mg/dL e livelli di PCR inferiori a 1
mg/L dopo la terapia con statine, avevano l'incidenza più bassa
di eventi ricorrenti (1,9 per 100 anni-persona).
CONCLUSIONI I pazienti che hanno livelli bassi di PCR dopo la terapia
ipolipemizzante hanno migliori esiti clinici rispetto a quelli con livelli
più elevati, indipendentemente dai livelli di colesterolo LDL raggiunti.
Le strategie mirate a ridurre il rischio cardiovascolare con la terapia
ipolipemizzante dovrebbero includere, oltre al monitoraggio del colesterolo,
anche quello dei livelli di PCR.
2.
STATIN THERAPY, LDL CHOLESTEROL, C-REACTIVE PROTEIN, AND CORONARY ARTERY
DISEASE
Nissen
SE, Tuzcu EM, Schoenhagen P, et al.
N Engl J Med 2005; 352:29-38
RIASSUNTO
CONTESTO Studi recenti hanno dimostrato che con una terapia ipolipemizzante
intensiva si hanno end-points migliori di quelli risultanti da una terapia
moderata. Un trattamento intensivo ha prodotto riduzioni maggiori sia
nei livelli di colesterolo LDL che nei livelli di proteina C-reattiva
(PCR), indicando una relazione tra questi due biomarker e la progressione
della malattia coronarica (CAD).
METODI 502 pazienti con CAD documentata all'indagine angiografica
sono stati sottoposti ad ultrasonografia intravascolare. I pazienti sono
stati randomizzati a ricevere un trattamento moderato (40 mg/die pravastatina
per os) o un trattamento intensivo (80 mg/die di atorvastatina per os).
L'ultrasonografia è stata ripetuta dopo 18 mesi per rilevare la
progressione dell'aterosclerosi. Al basale e durante il follow-up sono
stati misurati i livelli di PCR e delle lipoproteine.
RISULTATI Complessivamente, il livello medio di colesterolo LDL
era diminuito da 150,2 mg/dL (3,88 mmol/L) al basale, a 94,5 mg/dL (2,44
mmol/L) a 18 mesi (p<0,001), e la media geometrica dei livelli di PCR
era diminuita da 2,9 a 2,3 mg/L (p<0,001). La correlazione fra la riduzione
dei livelli di colesterolo LDL e quella dei livelli di PCR era debole
ma significativa considerando tutti i pazienti (r=0,13, p=0,005), ma non
in ciascuno dei singoli gruppi. All'analisi univariata, le variazioni
percentuali dei livelli di colesterolo LDL, PCR, apolipoproteina B-100
e colesterolo non HDL erano collegate all'incidenza di progressione dell'aterosclerosi.
Dopo aggiustamento per la riduzione dei livelli lipidici, la diminuzione
dei livelli di PCR era correlata indipendentemente e significativamente
all'incidenza della progressione. I pazienti con diminuzioni sia dei livelli
di colesterolo LDL che di PCR superiori alla media avevano percentuali
significativamente inferiori di progressione, rispetto a quelli con diminuzioni
di entrambi i biomarker al di sotto della media (p=0,001).
CONCLUSIONI Nei pazienti con CAD, l'incidenza ridotta di progressione
dell'aterosclerosi associata ad un trattamento ipolipemizzante intensivo
è correlata significativamente a maggiori riduzioni dei livelli
sia di lipoproteine aterogeniche che di PCR, rispetto all'utilizzo di
un trattamento moderato.
COMMENTO
Da un'analisi dei dati del trial Pravastatin or Atorvastatin Evaluation
and Infection Therapy-Thrombolysis in Myocardial Infarction 22
(PROVE IT-TIMI 22) e dei risultati preliminari dello studio Reversal
of Atherosclerosis with Aggressive Lipid Lowering (REVERSAL),
pubblicati il 6 gennaio sul New England Journal of Medicine, emerge
che la proteina C-reattiva (PCR) è un indicatore di eventi coronarici
ricorrenti leggermente migliore del colesterolo LDL.
Gli autori suggeriscono che, per la prevenzione secondaria, la terapia
ipolipemizzante dovrebbe essere regolata per mantenere la PCR al di sotto
di 2 mg/L, oltre che il colesterolo LDL a livelli inferiori a 70 mg/dL.
Lo
studio di Ridker (1)
· I dati dello studio sono stati raccolti
dalla coorte dello studio PROVE IT-TIMI 22, che includeva 3.745
pazienti con ospedalizzazioni recenti per infarto miocardico o angina
instabile. Il trial comparava il trattamento ipolipemizzante intensivo
(atorvastatina 80 mg/die) con un trattamento meno intensivo (pravastatina
40 mg/die), espressi in infarto miocardico ricorrente e eventi coronarici
fatali.
· In questa indagine, i soggetti sono
stati valutati per gli end-point dello studio in base a quartili di livelli
di colesterolo LDL e di PCR; è stato inoltre considerato se avevano
livelli superiori o inferiori alla media di colesterolo LDL (70 mg/dL)
e PCR (2 mg/L).
· Nella popolazione dello studio i
livelli di PCR e LDL non erano ben correlati, ma il rischio di eventi
legati a CAD diminuiva in modo lineare se entrambe le concentrazioni si
riducevano. I rischi relativi di eventi CAD erano 1,1 - 1,2 e 1,7, quando
venivano comparati rispettivamente il secondo, terzo e quarto quartile
di LDL con il quartile del livello più basso. La stessa comparazione
per i livelli di PCR evidenziava rischi relativi di 1,4 - 1,3 e 1,7, rispettivamente.
· I soggetti che raggiungevano un
livello di colesterolo LDL inferiore a 70 mg/dL avevano un rischio di
eventi di 2,7 per 100 anni-persona vs 4 per 100 anni-persona nei
pazienti con un livello di colesterolo LDL più elevato. I partecipanti
con PCR inferiore a 2 mg/L mostravano un rischio di eventi di 2,8 per
100 anni-persona vs 3,9 per 100 anni-persona nei soggetti con livelli
di PCR più alti.
· I soggetti con livelli più
bassi di PCR avevano esiti migliori, indipendentemente dal livello di
colesterolo LDL raggiunto.
· La PCR risultava essere un marker
leggermente migliore del colesterolo LDL per il rischio di eventi CAD.
· Atorvastatina era più efficace
di pravastatina nella riduzione dei livelli di PCR e di LDL. Tuttavia,
al di là della superiorità di atorvastatina nella diminuzione
di questi livelli, essa non produceva alcun beneficio in più rispetto
a pravastatina, in termini di end point clinici.
Lo
studio di Nissen (2)
· Lo studio analizzava una coorte
di 502 soggetti dello studio REVERSAL. Tutti i soggetti avevano
CAD all'angiografia.
· I partecipanti assumevano pravastatina
(40 mg/die) o atorvastatina (80 mg/die). I soggetti sono stati sottoposti
ad ultrasonografia coronarica al basale e dopo 18 mesi.
· In questo studio si è osservata
una correlazione lieve, ma significativa, tra la diminuzione di colesterolo
LDL ed i livelli di PCR.
· Livelli più elevati di colesterolo
LDL, apolipoproteina B-100 e colesterolo non HDL correlavano tutti con
un rischio aumentato di progressione dell'ateroma.
· Livelli più elevati di PCR
portavano ad aumenti simili della progressione di aterosclerosi coronarica,
comparati con quelli associati alle lipoproteine aterogene.
In
un editoriale di accompagnamento, il dott. MR Ehrenstein (University
College -London- UK) descrive la relazione statine e aterosclerosi
come "unione perfetta tra farmaco e malattia", anche se l'azione
delle statine si è rivelata più complessa di quanto, inizialmente,
non fosse stato ipotizzato e coinvolge una componente antinfiammatoria.
L'ipotesi che gli effetti antinfiammatori delle statine migliorino la
malattia cardiovascolare suggerisce che dovrebbe essere possibile ideare
altri agenti antinfiammatori, magari più idonei alle anomalie immunologiche
specifiche dell'ateroma. La determinazione dei meccanismi di azione delle
statine e della loro importanza relativa contribuiranno a razionalizzare
il disegno di tali terapie.
Il ruolo delle statine, quali agenti immunomodulanti, ha posto l'attenzione
su questa classe di farmaci al di là del loro ruolo abituale in
quanto possibili terapie per i pazienti a rischio di CAD.
Ehrenstein e colleghi illustrano come le statine siano in grado di produrre
benefici per un range diverso di malattie che coinvolgono il sistema immunitario,
quali artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, disordini neurovegetativi,
sclerosi multipla e infezione HIV.
La proteina C-reattiva è utile come marker serico generalizzato
di infiammazione e le statine riducono i livelli di questa proteina.
I due studi riassunti sopra hanno valutato se l'influenza delle statine
sui livelli di PCR possa avere implicazioni in termini di progressione
dell'aterosclerosi coronarica e degli esiti cardiovascolari.
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