ATEROSCLEROSI
SUBCLINICA, HIV E TERAPIA ANTIRETROVIRALE
Un nuovo report rivela che i farmaci antiretrovirali per la terapia dell'infezione
da HIV non aumentano il rischio di aterosclerosi coronarica, contrariamente
a quanto osservato in precedenti studi. In una coorte di 615 HIV-positivi,
di cui 531 in terapia con antiretrovirali, e 332 HIV-negativi è
stata osservata una prevalenza di calcio coronarico (coronary artery
calcium, CAC) simile nei due gruppi. Non c'erano evidenze di un'associazione
tra la sieropositività o il trattamento a lungo termine e la presenza
di CAC. Tuttavia, tra i soggetti con CAC la durata della terapia era inversamente
correlata all'entità del CAC. Questi risultati possono essere in
parte dovuti ai livelli lipidici più bassi dei soggetti sieropositivi
prima dell'inizio del trattamento con antiretrovirali e all'uso diffuso
di ipolipemizzanti. I ricercatori sottolineano l'importanza di considerare
il quadro aterosclerotico nei pazienti sieropositivi allo stesso modo
che nei pazienti sieronegativi, e contemporaneamente valutare la terapia
cardiovascolare.
[SUBCLINICAL CORONARY ATHEROSCLEROSIS, HIV INFECTION
AND ANTIRETROVIRAL THERAPY: RESULTS FROM THE MULTICENTER AIDS COHORT STUDY.
AIDS 2008; 22: 1589-1599]
ABSTRACT
IN INGLESE
44° EASD ANNUAL MEETING, ROMA, 7-11 SETTEMBRE 2008
Questi i dati presentati a Roma in occasione del congresso
annuale dell'EASD (European Association Study of Diabetes): 245
milioni di persone nel mondo sono malate di diabete, una delle malattie
responsabili di morte prematura; ogni 10 secondi muore nel mondo una persona
a causa del diabete, malattia destinata ad aumentare di un ulteriore 25%
entro la fine del prossimo decennio. Secondo l'Organizzazione Mondiale
della Sanità, il diabete nel 2025 potrebbe, per la prima volta
in 200 anni, ridurre globalmente l'aspettativa di vita. Tra meno di 20
anni si avranno 380 milioni di diabetici a livello mondiale, con 1 italiano
su 10 malato sopra i 50 anni. Oggi in Italia circa 3 milioni gli italiani
(4,1% della popolazione) sono diabetici. A questi si aggiunge un altro
milione di persone che hanno la malattia, ma non ne sono a conoscenza.
Il 92,1% dei malati è affetto dal tipo 2. Le risorse sanitarie
assorbite dai malati di diabete sono dovute soprattutto a malattie e disturbi
concomitanti.
[Fonte:
www.easd.org]
NEWS
1 E NEWS
2 DA ADNKRONOS; ABSTRACT
IN INGLESE
TREND DI DIABETE, IPERCOLESTEROLEMIA E IPERTENSIONE IN SOGGETTI NEFROPATICI
IN USA
Analisi recenti documentano un
marcato aumento della prevalenza di nefropatie croniche (chronic kidney
disease, CKD) tra gli adulti americani nel decennio scorso. Obesità,
fumo, ipertensione, ipercolesterolemia e diabete sono fattori di rischio
per le CKD; perciò è stato ipotizzato che il miglioramento
nel tempo del controllo di queste condizioni abbia portato ad una diminuzione
della prevalenza di CKD. Tuttavia, data la crescente incidenza di diabete
senza significativi progressi nel trattamento, si è anche ipotizzato
un aumento delle nefropatie correlate al diabete. Queste ipotesi sono
state verificate valutando i trend dell'associazione tra fumo di sigaretta,
obesità, ipertensione, ipercolesterolemia e diabete con le CKD
nei periodi 1988-1994 e 199-2004, usando i dati del Third National
Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) III
e del NHANES 1999-2004. I tassi di prevalenza diminuivano tra i
due periodi per obesità (da 1,51 a 1,14), ipertensione (da 2,60
a 1,70) e ipercolesterolemia (da 1,58 a 1,20), ma restavano invariati
per il diabete (da 1,64 a 1,62; p=0,898). Lo studio conferma le ipotesi
avanzate e suggerisce la possibilità di un futuro aumento della
prevalenza di CKD in parallelo alla crescente prevalenza di diabete.
[TRENDS
IN DIABETES, HIGH CHOLESTEROL, AND HYPERTENSION IN CHRONIC KIDNEY DISEASE
AMONG U.S. ADULTS: 1988-1994 TO 1999-2004. Diabetes Care 2008; 31:1337-42]
ABSTRACT
IN INGLESE
SINDROME
METABOLICA, DISFUNZIONE ENDOTELIALE ED EVENTI CV
Sono
scarse le conoscenze relative all'effetto combinato di sindrome metabolica
(SM) e disfunzione endoteliale in una coorte con base di popolazione.
Questo studio ha perciò verificato l'ipotesi che entrambe le condizioni
siano fattori di rischio e forniscano un valore prognostico additivo nel
predire gli eventi cardiovascolari. Nella popolazione in studio (819 soggetti
tra cui 467 donne, età media 66,5 anni) la SM era indipendentemente
associata alle CVD in un modello multivariato, che includeva diversi fattori
di rischio CV (Hazard Ratio aggiustato 2,08; IC al 95% 1,27-3,40); i soggetti
con SM e disfunzione endoteliale avevano un rischio di CVD ancora più
alto (HR 2,60; 1,14-5,92). Questi risultati sono importanti nell'ambito
della pratica clinica e della ricerca, poiché le diagnosi di sindrome
metabolica e di dilatazione flusso-mediata, facilmente ottenibili, possono
aiutare nell'identificazione di soggetti ad alto rischio CV.
[METABOLIC
SYNDROME, ENDOTHELIAL DYSFUNCTION, AND RISK OF CARDIOVASCULAR EVENTS:
THE NORTHERN MANHATTAN STUDY (NOMAS). Am Heart J 2008; 156:405-10]
ABSTRACT
IN INGLESE
MENOPAUSA E SINDROME METABOLICA
Secondo i ricercartori dello
Study of Women's Health Across the Nation (SWAN), uno studio
di coorte longitudinale multietnico su 3302 donne americane, la prevalenza
di sindrome metabolica nelle donne aumenta con il passaggio dall'età
fertile alla menopausa, probabilmente come risultato della progressiva
androgenizzazione del quadro ormonale e non per il calo estrogenico di
per sé. L'effetto di questa transizione sulla situazione complessiva
dei fattori di rischio cardiovascolari, indipendentemente dall'età
e dall'indice di massa corporea, può costituire uno dei meccanismi
sottostanti all'aumento del rischio cardiaco nelle donne in menopausa.
Nello studio la predominanza di testosterone era significativamente ed
indipendentemente associata a 3 dei 5 determinanti di sindrome metabolica
(circonferenza vita, trigliceridi e colesterolo HDL), mentre sembrava
non avere effetti su pressione sistolica e glicemia. Inoltre, l'impatto
delle modificazioni ormonali era simile nei differenti gruppi etnici.
Diversamente da quanto ritenuto in precedenza, questi dati mostrano che
la variazione dei livelli di estrogeni è al più un predittore
debole e non significativo del rischio di sindrome metabolica; invece,
è la progressiva predominanza del testosterone ad aumentare il
rischio cardiovascolare.
[MENOPAUSE
AND THE METABOLIC SYNDROME: THE STUDY OF WOMEN'S HEALTH ACROSS THE NATION.
Arch Intern Med 2008;168:1568-1575]
ABSTRACT IN INGLESE
OBESITÀ E QUADRO METABOLICO
I risultati di due studi mostrano
che essere obesi non necessariamente significa avere altri fattori di
rischio per le patologie cardiache, che invece dipendono dalla localizzazione
del grasso in eccesso, ad esempio a livello epatico. Nel primo studio
[1] si riporta che esiste un'obesità metabolicamente benigna non
accompagnata da insulino-resistenza o da aterosclerosi precoce, riscontrata
nel 25% dei soggetti obesi analizzati. Il grasso viscerale, potente segnale
di insulino-resistenza in soggetti normopeso, aveva scarsa capacità
predittiva negli obesi; al contrario, in questi ultimi l'eccesso di adipe
nel fegato era il principale predittore di insulino-resistenza e di aterosclerosi.
Nel secondo studio [2] i ricercatori hanno osservato una maggior evidenza
della disuniformità del rischio di patologie associato all'obesità,
come risultato dell'analisi dei fenotipi corporei (normopeso, sovrappeso
ed obesi, ciascuno con e senza anomalie cardiometaboliche). Tra gli americani
adulti si ha un'alta prevalenza di situazioni in cui anomalie cardiometaboliche
si riscontrano in individui normopeso ed un'alta prevalenza di soggetti
sovrappeso od obesi metabolicamente sani. L'editoriale di accompagnamento
[3] sottolinea che la comprensione dei meccanismi pato-fisiologici dell'insulino-resistenza
possa aiutare i medici nel trattamento di pazienti obesi in un'ottica
di prevenzione cardiovascolare.
[1.
IDENTIFICATION AND CHARACTERIZATION
OF METABOLICALLY BENIGN OBESITY IN HUMANS. Arch Intern Med 2008; 168:1609-1616;
2. THE OBESE WITHOUT CARDIOMETABOLIC RISK FACTOR CLUSTERING AND THE NORMAL
WEIGHT WITH CARDIOMETABOLIC RISK FACTOR CLUSTERING: PREVALENCE AND CORRELATES
OF 2 PHENOTYPES AMONG THE US POPULATION: (NHANES 1999-2004). Arch Intern
Med 2008; 168:1617-1624;
3. BODY FAT DISTRIBUTION AND CARDIOVASCULAR RISK. A TALE OF TWO SITES.
Arch Intern Med 2008; 168:1607-1608]
ABSTRACT
1, ABSTRACT
2 e ABSTRACT
3 IN INGLESE
FATTORI DI RISCHIO METABOLICI NEI GIOVANI
L'occorrenza congiunta di diverse
anomalie metaboliche, tra cui ipertensione, iperinsulinemia, alterata
tolleranza al glucosio, dislipidemia ed obesità ha portato all'introduzione
del concetto di sindrome metabolica (SM). Lo sviluppo di SM coinvolge
gli effetti multipli e potenzialmente interagenti di fattori ambientali
e caratteri familiari ereditari. Complessivamente, sono poche le informazioni
riguardo le basi genetiche e ambientali dello sviluppo simultaneo dei
determinti della SM nella popolazione giovane. Uno studio condotto su
768 gemelli tra 18 e 34 anni ha evidenziato un'ereditarietà variabile
tra il 47,0 e l'80,2% (negli uomini) e tra il 58,5 e l'77,9% (nelle donne)
per i singoli fattori di rischio metabolici. I dati evidenziano che tanto
l'ambiente quanto il corredo genetico contribuiscono significativamente
alla presenza simultanea dei determinanti di SM, sebbene la maggior parte
della variabilità sia specifica per i singoli fattori di rischio.
[CLUSTERING
OF METABOLIC RISK FACTORS IN YOUNG ADULTS: GENES AND ENVIRONMENT. Atherosclerosis
2008; 200:168-176]
ABSTRACT
IN INGLESE
DIETE E RISCHIO DI MORTE PER CVD, TUMORI E PER TUTTE LE CAUSE
L'impatto di diversi regimi dietetici sulla mortalità cardiovascolare
o per altre cause è stato indagato in uno studio prospettico su
72.113 donne che non presentavano storia di CVD, diabete o cancro, seguite
dal 1984 al 2002. I ricercatori hanno ricavato le informazioni sulle abitudini
alimentari da un apposito questionario somministrato ogni 2-4 anni, identificando
due grandi modelli alimentari. Hanno denominato il primo "prudente",
caratterizzato cioè da un elevato consumo di alimenti vegetali
quali frutta e verdura, legumi e cereali integrali, talvolta accompagnati
da pesce e pollame. Il secondo, detto "occidentale", si denotava
invece per la notevole presenza di carne rossa e derivati, cereali raffinati,
cibi fritti e dolciumi. Al termine del follow-up, le analisi hanno rivelato
che in chi seguiva una dieta "prudente" il rischio di mortalità,
legato a patologie cardiovascolari e non, è rispettivamente del
28% e del 17% in meno rispetto a quello delle donne il cui regime alimentare
è di tipo "occidentale". Questo secondo modello, al contrario,
è risultato associato a un rischio di mortalità più
alto, rispettivamente, del 22% e del 21%. Un esito, hanno precisato gli
autori dello studio, indipendente da altri fattori di rischio quali l'età,
il fumo, l'attività fisica, l'indice di massa corporea e l'assunzione
giornaliera di calorie.
[DIETARY
PATTERNS AND RISK OF MORTALITY FROM CARDIOVASCULAR DISEASE, CANCER, AND
ALL CAUSES IN A PROSPECTIVE COHORT OF WOMEN. Circulation 2008; 118:230-237];
[DIETARY
PATTERNS AND LONGEVITY: EXPANDING THE BLUE ZONES. Circulation 2008; 118:214-215]
ABSTRACT
1 E IN INGLESE
FERRO,
CONSUMO DI CARNE ROSSA E PRESSIONE ARTERIOSA
Il
ferro contribuisce alla produzione di radicali liberi, allo stress ossidativo
e ai processi infiammatori. Studi precedenti hanno dimostrato che non
è il ferro totale a costituire un fattore di rischio, ma una parte
di esso, il ferro eme, la cui fonte principale di assunzione alimentare
è la carne rossa. Quattro equipe di ricercatori nei rispettivi
paesi (Inghilterra, Stati Uniti, Cina e Giappone) hanno raccolto dati,
in una popolazione di loro connazionali, su pressione e alimentazione.
In un campione totale di 4680 persone tra i 40 e i 59 anni, l'assunzione
di ferro con alimentazione e integratori era più alta negli Stati
Uniti e in Cina, più bassa in Giappone. Il ferro eme rappresentava
il 6% del ferro totale assunto nei due paesi occidentali, mentre in Giappone
era il 9% e in Cina il 3%, con la differenza che in quest'ultimi il pesce
costituiva la fonte principale del ferro eme, il 61% e l'88% rispettivamente,
mentre nel Regno Unito e negli Stati Uniti lo era la carne, per il 90%
e per l'87% rispettivamente. L'assunzione di ferro totale e in forma non-eme
era inversamente correlata alla pressione sanguigna; il ferro in forma
eme era invece associato a valori pressori più alti e, anche se
tale associazione non era statisticamente significativa, potrebbe costituire
la base della correlazione tra consumo di carni rosse e livelli di pressione.
[RELATION
OF IRON AND RED MEAT INTAKE TO BLOOD PRESSURE: CROSS SECTIONAL EPIDEMIOLOGICAL
STUDY. BMJ 2008; 337:a258]
ABSTRACT IN INGLESE
QUALITÀ DEL SONNO E PRESSIONE ELEVATA NEGLI ADOLESCENTI
Un nuovo studio suggerisce che
un sonno di scarsa qualità può innalzare i livelli di pressione
in adolescenti sani. Sono stati seguiti 238 adolescenti (tra 13 e 16 anni);
sono state misurate le modalità di sonno sia a casa che in laboratorio
e sono state effettuate nove rilevazioni pressorie nei giorni successivi.
Gli adolescenti con il sonno peggiore (addormentamento difficoltoso e
risveglio anticipato) o con insufficienti ore di sonno (al massimo 6 ore
e mezza) avevano una pressione mediamente più alta di 4 mm Hg e
un maggior rischio di sviluppare preipertensione. I ricercatori hanno
escluso tra le cause di questo effetto fattori come asma o consumo di
caffeina o tabacco. Ulteriori studi sono necessari non solo per chiarire
i meccanismi, ma anche per stabilire se le strategie di prevenzione dell'ipertensione
nei bambini debbano focalizzarsi solo sulla promozione dell'esercizio
fisico e sul controllo del peso corporeo, o anche sull'ottimizzazione
del sonno. Infatti, mentre i soggetti giovani non sono solitamente monitorati
dal punto di vista cardiologico, i medici devono essere consapevoli che
i disturbi del sonno costituiscono un possibile fattore di rischio ad
ogni età.
[SLEEP
QUALITY AND ELEVATED BLOOD PRESSURE IN ADOLESCENTS. Circulation, pubblicato
on line il 18 agosto 2008]
ABSTRACT
IN INGLESE
PRE-IPERTENSIONE IN GIOVANE ETÀ E CALCIO CORONARICO
Un'analisi dei dati dello studio Coronary Artery
Risk Development in Young Adults (CARDIA) suggeriscono che una pressione
arteriosa moderatamente elevata nei giovani può aumentare il rischio
di sviluppo di aterosclerosi coronarica nei decenni successivi. I ricercatori
hanno riscontrato una prevalenza di pre-ipertensione del 18% in 3560 partecipanti;
hanno poi calcolato una esposizione cumulativa ai ivelli pre-ipertensivi
tra i 20 e i 35 anni di età in unità di mm Hg-anni. Si è
osservato che al crescere dei livelli pressori nei giovani aumentava parallelamente
il calcio coronarico a 40-50 anni (prevalenza di calcio coronarico pari
a 15%, 24% e 38% per 0, 1-30 e >30 mm Hg-anni di esposizione, rispettivamente;
p<0,001). Questa associazione restava forte anche dopo aggiustamento
per il fisiologico innalzamento dei livelli pressori dopo i 35 anni, per
altri fattori di rischio coronarici e per le caratteristiche dei partecipanti.
I ricercatori sottolineano che la necessità di controllare la pressione
arteriosa a qualunque età dovrebbe essere percepita sia dai medici
che dai responsabili delle linee guida.
[PREHYPERTENSION
DURING YOUNG ADULTHOOD AND CORONARY CALCIUM LATER IN LIFE. Ann Intern
Med 2008; 149:91-99]
ABSTRACT IN INGLESE
STILE
DI VITA SANO E PREVENZIONE DELL'ICTUS
Una
nuova analisi che ha combinato l'Health Professionals Follow-Up Study
(HPFS) e il Nurses' Health Study (NHS) conferma che,
oltre alla prevenzione di malattie croniche come diabete o coronaropatia,
uno stile di vita complessivamente salutare (astensione dal fumo, controllo
del peso corporeo, dieta salutare, moderato consumo di alcol, esercizio
fisico giornaliero) è significativamente associato alla riduzione
del rischio di ictus. I partecipanti ai due studi prospettici erano complessivamente
71.243 donne e 43.685 uomini, senza evidenze di patologie cardiovascolari
al basale. Le donne con tutti e cinque i fattori di basso rischio mostravano
una riduzione del rischio di ictus dell'80%, mentre negli uomini la riduzione
era del 69%. Nelle popolazioni in studio almeno la metà degli ictus
ischemici poteva essere attribuito a determinanti di uno stile di vita
non salutare. Gli autori sottolineano però alcuni limiti dell'analisi,
tra cui la natura osservazionale degli studi e le informazioni auto-riportate
dai partecipanti. Tuttavia, il rischio attribuibile alla popolazione valutato
sul campione molto probabilmente sottostima l'impatto di un cattivo stile
di vita sul rischio di ictus nella popolazione generale.
[PRIMARY
PREVENTION OF STROKE BY HEALTHY LIFESTYLE. Circulation 2008; 118:947-54]
ABSTRACT IN INGLESE
EMICRANIA, RISCHIO VASCOLARE ED EVENTI CV NELLE DONNE
L'emicrania colpisce negli USA
il 18% della popolazione femminile e il 6% di quella maschile. La sintomatologia
neurologica che talvolta accompagna la patologia, nota come aura, ha implicazioni
tanto neuronali che vascolari e l'emicrania con aura è stata associata
ad aumento del rischio di ictus, angina o altri eventi ischemici. Per
valutare se questa associazione sia modificata dal rischio vascolare valutato
con il Framingham score è stato condotto uno studio di coorte prospettico
su 27.519 donne. In questo campione l'associazione tra emicrania con aura
e ictus ischemico si osservava solo nel gruppo con Framingham risk score
più basso; considerando singolarmente i fattori di rischio, questo
andamento dipendeva in particolare dall'aumento del rischio tra le donne
giovani (45-49 anni) e con bassi livelli di colesterolo totale, mentre
le donne con alta colesterolemia avevano un maggior rischio di infarto
miocardico. Questi risultati indicano che le informazioni sullo stato
del rischio vascolare può aiutare ad identificare donne che soffrono
di emicrania con aura e che sono particolarmente a rischio di futuri eventi
cardiovascolari.
[MIGRAINE, VASCULAR RISK, AND CARDIOVASCULAR EVENTS IN WOMEN: PROSPECTIVE
COHORT STUDY. BMJ 2008; 337:a636]
ABSTRACT
IN INGLESE
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