SELEZIONE DELLA LETTERATURA



ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI E CANCRO AL SENO
Le conclusioni di uno studio internazionale, condotto analizzando i dati relativi a 2,7 milioni di donne, indicano che l'uso regolare di comuni farmaci antinfiammatori ridurrebbe il rischio di cancro al seno. La ricerca ha utilizzato i risultati di 38 indagini sulla correlazione fra antinfiammatori e cancro al seno, con una numerosità complessiva pari a 2.788.715 soggetti. Sia l'acido acetilsalicilico sia l'ibuprofene, comuni antidolorifici appartenenti alla categoria degli antinfiammatori non steroidei (FANS), sarebbero in grado di interferire con i processi infiammatori, con conseguenti effetti positivi sui tumori. Ciò è spiegabile dal fatto che due enzimi coinvolti nei meccanismi dell'infiammazione, Cox-1 e Cox-2, sembrano avere un ruolo chiave nello sviluppo del cancro poiché influenzano il ciclo vitale cellulare e l'angiogenesi tipicamente associata allo sviluppo di una neoplasia e perchè regolano la risposta immunitaria. Pertanto, le donne che assumono acido acetilsalicilico hanno un rischio di cancro del 13% inferiore rispetto a quelle che non ne fanno uso, mentre l'ibuprofene riduce di un quinto il pericolo di insorgenza di una neoplasia mammaria. Sono però necessari studi clinici su larga scala per chiarire i meccanismi biologici sottostanti e indagare il profilo rischio-beneficio.
[BREAST CANCER AND USE OF NONSTEROIDAL ANTI-INFLAMMATORY DRUGS: A META-ANALYSIS. J Natl Cancer Inst 2008; 100:1439-1447]
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STATINE E RIDUZIONE DELLA MORTALITÀ IN PAZIENTI CON IPERCOLESTEROLEMIA ETEROZIGOTICA FAMILIARE
L'ipercolesterolemia familiare (FH) autosomica dominante è il più comune disordine ereditario noto come causa di morte coronarica prematura in Europa. Tuttavia, la condizione è sottodiagnosticata (meno del 20% di casi accertati) ed i programmi di screening e trattamento sono spesso mal organizzati. Allo scopo di esaminare le variazioni della mortalità coronarica, tumorale e per tutte le cause in pazienti con FH omozigote prima e dopo terapia con statine, sono stati arruolati 3382 uomini e donne (46.580 anni/persona) da 21 centri di dislipidemie nel Regno Unito e sono stati calcolati i tassi di mortalità standardizzati prima e dopo il 1992. Nei pazienti con 20-79 anni la mortalità coronarica diminuiva in modo significativo del 37%; la prevenzione primaria ha comportato un dimezzamento del rischio di eventi coronarici fatali, con una riduzione di circa il 25% nei pazienti con patologia accertata; la diminuzione era più consistente nelle donne che negli uomini. Nei pazienti senza coronaropatie alla prima visita presso il centro di dislipidemie la mortalità per tutte le cause era inferiore del 33% rispetto alla popolazione generale, principalmente a causa della riduzione del rischio di tumore fatale. Lo studio conferma l'importanza della identificazione tempestiva e del trattamento degli individui affetti da FH, dal momento che il maggior beneficio della terapia con statine sembra consistere nella prevenzione primaria di eventi coronarici. Ciò suggerisce che la diagnosi precoce possa prevenire ogni eccesso di mortalità coronarica in età adulta.
[REDUCTIONS IN ALL-CAUSE, CANCER, AND CORONARY MORTALITY IN STATIN-TREATED PATIENTS WITH HETEROZYGOUS FAMILIAL HYPERCHOLESTEROLAEMIA: A PROSPECTIVE REGISTRY STUDY. Eur Heart J, pubblicato on line il 7 ottobre 2008]
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ANTIDIABETICI E RISCHIO DI CANCRO PROSTATICO
Studi recenti hanno riportato una riduzione del rischio di cancro prostatico nei soggetti diabetici, sebbene le evidenze siano controverse e non sia noto il ruolo dei farmaci ipoglicemizzanti. Questo studio ha valutato l'associazione tra antidiabetici e rischio di cancro prostatico in uno studio caso-controllo con base di popolazione (complessivamente 49.446 partecipanti). Si è osservata una riduzione del rischio di tumore alla prostata negli utilizzatori di farmaci antidiabetici (odds ratio 0,87; IC al 955 0,82-0,92). L'odds ratio diminuiva all'aumentare della quantità, in modo dose-dipendente. La durata del trattamento era inversamente associata al rischio complessivo di cancro prostatico e al rischio di cancro avanzato. La riduzione simile del rischio osservata per classi di farmaci differenti suggerisce che dietro alla relazione ci sia la patologia diabetica, piuttosto che i farmaci.
[ANTIDIABETIC MEDICATION AND PROSTATE CANCER RISK: A POPULATION-BASED CASE-CONTROL STUDY. Am J Epidemiol 2008; 168:925-931]
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DISFUNZIONE TIROIDEA SUBCLINICA E RISCHIO DI INSUFFICIENZA CARDIACA
Un nuovo studio ha osservato che gli anziani con un grave ipotiroidismo subclinico hanno un rischio almeno doppio di sviluppare insufficienza cardiaca (heart failure, HF) rispetto ai soggetti con normale funzionalità tiroidea. Sono stati studiati 3044 adulti con almeno 65 anni e senza HF al basale, partecipanti al Cardiovascular Health Study. Sono state confrontate l'incidenza di HF in 12 anni e le variazioni della funzione cardiaca in 5 anni tra soggetti con ipotiroidismo subclinico, soggetti con ipertiroidismo subclinico e soggetti con funzionalità tiroidea normale. L'hazard ratio aggiustato degli individui ipotiroidei era 1,88 (IC al 95% 1,05-3,34) rispetto agli eutiroidei. Analisi ulteriori hanno rilevato che i soggetti che assumevano tiroxina non mostravano un aumento del rischio, sostenendo l'ipotesi di un ruolo protettivo della tiroxina nello sviluppo di HF tra pazienti ipotiroidei. Questi risultati sono in linea con quelli dell'unico altro studio sulla relazione tra ipotiroidismo subclinico e insufficienza cardiaca, che ha anche rilevato un maggior rischio nei soggetti con alti livelli di ormone di stimolazione della tiroide (TSH).
[SUBCLINICAL THYROID DYSFUNCTION, CARDIAC FUNCTION AND THE RISK OF HEART FAILURE. THE CARDIOVASCULAR HEALTH STUDY. J Am Coll Cardiol 2008; 52:1152-1159]
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ALIMENTAZIONE A BASE DI FIBRE E MARKER DI INFIAMMAZIONE SISTEMICA
È stato osservato che una dieta ricca di fibre esercita un effetto protettivo contro le malattie di natura infiammatoria. L'influenza sui processi pro-infiammatori è spiegata da due ipotesi: una riduzione del processo ossidativo su glucosio e grassi; un'alterazione delle adipocitochine e un miglioramento del metabolismo dei grassi a livello del fegato. Usando i dati al basale di 1958 donne in post-menopausa arruolate nel Women's Health Initiative Observational Study, sono state esaminate le associazioni tra l'assunzione di fibre con la dieta e i marker di infiammazione sistemica (tra cui proteina C-reattiva [PCR], interleuchina 6 [IL-6] e recettore 2 per il Tumor Necrosis Factor [TNF-?-R2]). Dopo aggiustamento per covariate, l'assunzione di fibre (totali, solubili e non solubili) era inversamente associata a IL-6 e a TNF-?-R2. Contrariamente a quanto riportato in studi precedenti, non c'erano associazioni con la PCR.
[ASSOCIATION BETWEEN DIETARY FIBER AND MARKERS OF SYSTEMIC INFLAMMATION IN THE WOMEN'S HEALTH INITIATIVE OBSERVATIONAL STUDY. NUTRITION 2008; 24:941-949]
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CIOCCOLATO FONDENTE E LIVELLI PRESSORI, GLICEMICI E DI PROTEINA C-REATTIVA
Un nuovo studio italiano ha mostrato per la prima volta che il consumo moderato di cioccolato fondente può ridurre in modo significativo i livelli di proteina C-reattiva (PCR). Questi sono i primi risultati di un ampio studio epidemiologico, il Moli-sani Project. In 4849 partecipanti in buona salute e senza fattori di rischio, i ricercatori hanno identificato 1317 soggetti che non mangiavano cioccolato e 824 che ne mangiavano regolarmente e hanno correlato i livelli di PCR al consumo di cioccolato. Dopo aggiustamento per età, sesso, stato sociale, attività fisica, pressione sistolica, indice di massa corporea, rapporto vita/fianchi, alimentazione e apporto calorico totale, il consumo di cioccolato fondente era inversamente associato ai livelli di PCR (p=0,038). La riduzione osservata (-17%) può sembrare di lieve entità, ma è sufficiente ad abbassare il rischio di CVD di un terzo nelle donne e di un quarto negli uomini. In ogni caso, l'associazione tra cioccolato e PCR è favorevole per il consumo di circa un quadratino 2-3 volte la settimana; oltre questa dose il beneficio tende a scomparire a causa dell'aumento di lipidi e calorie, che contrastano l'effetto antiossidante. Lo studio ha anche osservato esiti positivi del moderato consumo di cioccolato sulla pressione arteriosa, ma sono necessari ulteriori studi per chiarire il meccanismo di azione.
[REGULAR CONSUMPTION OF DARK CHOCOLATE IS ASSOCIATED WITH LOW SERUM CONCENTRATIONS OF C-REACTIVE PROTEIN IN A HEALTHY ITALIAN POPULATION. J Nutr 2008; 138:1939-1945]
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MODIFICAZIONI DELLO STATO ADIPOSO E INCIDENZA DEL MORBO DI ALZHEIMER
L'adiposità e le sue variazioni sono potenziali fattori di rischio per il morbo di Alzheimer (AD). I ricercatori hanno utilizzato i dati di 2322 partecipanti al Baltimore Longitudinal Study of Aging per analizzare la relazione tra incidenza della patologia ed adiposità, aggiustando per fattori socio-demografici e per abitudine al fumo. Tra gli uomini, essere sottopeso a 30, 40 o 45 anni aumentava il rischio di AD (hazard ratio 5,76; IC al 95% 2,07-16,00); tra le donne, il rischio di AD era maggiore in caso di obesità a 30, 40 o 45 anni e localizzazione centrale dell'adiposità (HR 6,57; 1,96-22,02). Le donne che perdevano peso tra 30 e 45 anni erano esposte ad un rischio più alto (HR 2,02; 1,06-3,85), mentre negli uomini era critico l'aumento di peso tra 30 e 50 anni (HR 3,70; 1,43-9,56).
[ASSOCIATION OF ADIPOSITY STATUS AND CHANGES IN EARLY TO MID-ADULTHOOD WITH INCIDENCE OF ALZHEIMER'S DISEASE. Am J Epidemiol, pubblicato on line il 3 ottobre 2008]
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