Non
è una malattia vera e propria, ma aumenta il rischio di essere
colpiti da ictus cerebrale, infarto, insufficienza renale e altre patologie.
E' l'ipertensione arteriosa, campanello d'allarme per circa 15 milioni
di italiani, con un picco massimo nel nord est della Penisola. Se ne è
parlato oggi all'università di Sapienza di Roma, dove si sono riuniti
numerosi esperti all'indomani della quinta Giornata mondiale contro la
malattia. Nel nostro Paese l'ipertensione arteriosa colpisce indistintamente
uomini (33%) e donne (31%), con una condizione di rischio prevalente nei
maschi (19%) rispetto al gentil sesso (14%). Il rischio non coinvolge
però solo l'Italia, visto che l'ipertensione arteriosa colpisce
nel mondo il 30% della popolazione. Gli esperti consigliano dunque la
misurazione e il controllo della pressione, ancora oggi miglior strumento
possibile per evitare il rischio aggiuntivo di malattie cardiovascolari.Solo
nel 5% dei pazienti è possibile individuare una causa specifica
dell'ipertensione. Generalmente, invece, gli accertamenti diagnostici
più utilizzati non riescono a riconoscere alcuna malattia che possa
essere ritenuta responsabile. L'alterazione della pressione può
essere causata dall'effetto combinato di vari fattori, quali quelli genetici
e ambientali (stress, eccessiva introduzione di sale, obesità).
Attualmente sono state infatti identificate alcune forme di ipertensione
arteriosa su base genetica, ma la loro prevalenza è molto bassa
e non giustifica ancora uno screening genetico esteso. In Italia il record
di ipertesi spetta al Nord Est, con il 37% degli uomini e il 29% delle
donne colpiti. Seguono poi il Sud e le Isole (33% uomini, 34% donne),
il Nord Ovest (33% uomini, 29% donne) e il Centro (31% uomini, 29% donne).
Regione per regione, invece, la vetta della graduatoria è della
Calabria, con il 45% degli uomini e il 41% delle donne con la pressione
alta. Segue il Friuli Venezia Giulia. In fondo alla classifica, troviamo
invece l'Abruzzo (24% sia donne che uomini) e le Marche (24% uomini, 23%
donne).
IPERTENSIONE DA CAMICE BIANCO: E' VERO ALLARME
Fonte: AGI Salute. 15 giugno 2009
Ipertensione da camice bianco. Non e' un falso allarme, come si crede.
E' invece un vero allarme. Una situazione denunciata da 15 italiani su
cento non e' da trascurare perche' un terzo di loro, soffre proprio di
ipertensione. Inoltre, potrebbe gia' essere presente un danno d'organo.
L'ipertensione da 'camice bianco' e' quella che si manifesta in soggetti
mentre si fanno misurare la pressione arteriosa nello studio del medico;
le stesse persone quando tornano a casa e si misurano da soli scoprono
valori normali. L'annuncio al 19° Congresso della Societa' Europea
dell'Ipertensione - ESH a Milano, sotto la presidenza del professor Giuseppe
Mancia che commenta i risultati emersi in un sottostudio del PAMELA
condotto in dieci Centri su duemila persone in tutta la Brianza, sotto
il coordinamento del professor Giuseppe Mancia. Ci sono persone che con
l'automisurazione in casa, o nell'arco delle 24 ore, rivelano normali
valori di pressione arteriosa e quindi stanno tranquilli. Ma questa tranquillita'
va in fumo quando le stesse persone si recano nell'ambulatorio del medico
e si sottopongono ad un controllo. Sorpresa: i valori sono oltre quelli
di tranquillita'. Fino ad ora si e' affermato che l'ipertensione da camice
bianco non deve preoccupare. La colpa dei livelli piu' alti e' attribuita
all'emozione che il paziente prova quando si trova davanti al medico,
teme il responso, si agita. Nessun problema. Il paziente e' tranquillizzato.
'Purtroppo - dice il professore Giuseppe Mancia- non e' cosi'. Lo studio
in Brianza ha dimostrato che la pressione da camice bianco non e' da sottovalutare.
Tutt'altro. A distanza di dieci anni i pazienti che si emozionano e fanno
salire la pressione arteriosa rischiano tre volte piu' di diventare ipertesi
rispetto ad un soggetto che e' normoteso. E' un messaggio, quello che
viene dal Congresso, rivolto soprattutto al medico di famiglia. Questa
condizione e' nota come 'ipertensione da camice bianco', nonostante ne
sia stata proposta una definizione piu' descrittiva e meno meccanicistica,
quale 'ipertensione clinica isolata'. Tale definizione e' preferibile
in quanto l'incremento pressorio rilevato mediante la misurazione ambulatoria
non corrisponde all'incremento dei valori di pressione legato alla presenza
del medico o dell'infermiera, che rappresenta il vero 'effetto da camice
bianco'. Indipendentemente dalla terminologia, gli studi disponibili dimostrano
che l'ipertensione clinica isolata si riscontra nel 15 per cento della
popolazione generale ed e' responsabile di una percentuale non trascurabile
di casi (un terzo o piu') di ipertensione. Esistono, inoltre, evidenze
che nella popolazione di pazienti con ipertensione clinica isolata il
rischio cardiovascolare e' minore rispetto a cio' che si osserva nei pazienti
che presentano un aumento della pressione clinica ed ambulatoria. Tuttavia,
diversi studi hanno evidenziato che tale condizione si associa alla presenza
di danno d'organo e ad alterazioni metaboliche. Cio' suggerisce che si
possa trattare di una condizione non completamente innocente sotto il
profilo clinico. I risultati d'altri studi, i cui dati sono stati opportunamente
corretti per fattori confondenti quali eta' e sesso, hanno ridimensionato
il valore prognostico negativo di questa condizione evidenziando una frequenza
d'eventi cardiovascolari intermedia tra quella dei soggetti normotesi
e degliipertesi. Anche se puo' essere difficile identificare i pazienti
con ipertensione clinica isolata, tuttavia questa condizione e' di comune
riscontro nelle donne con ipertensione di grado I (moderata), indipendentemente
dall'eta', nei soggetti non fumatori, nei pazienti con una diagnosi recente
di ipertensione e nel caso in cui si disponga di poche rilevazioni sfigmomanometriche.
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