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"..la
farmacovigilanza non è una esclusiva procedura burocratico-amministrativa,
ma l'insieme di strategie e di progetti medico scientifici; solo in tale
contesto culturale è possibile coinvolgere il medico e gli altri
operatori sanitari".
Così si esprime il Responsabile della Direzione Farmaci del Ministero
della Salute, Nello Martini, in Commissione Affari Sociali della Camera
dei Deputati, durante la recente udienza tenuta in occasione della presentazione
dei risultati dell'indagine amministrativa voluta il 30 agosto 2001 in
piena bufera Lipobay (vedi Il Sole 24ore Sanità 30 ottobre -
5 novembre 2001, pag 6).
Sullo stesso numero del Sole 24ore Sanità, si legge quanto dice
ancora Nello Martini "La Direzione Generale , in collaborazione
con la CUF e l'ISS, ha definito un Piano organico di studi di farmacovigilanza
attiva, per monitorare il profilo di beneficio/rischio di nuovi farmaci
nella fase successiva alla registrazione e alla commercializzazione. Gli
studi attualmente in corso riguardano patologie socialmente assai rilevanti
(Alzheimer, Epatite C, Artrite Reumatoide, Diabete), coinvolgono 1.170
Centri (ISS, IRCCS, Strutture Universitarie, Aziende Ospedaliere) con
una popolazione in studio di oltre 20.000 pazienti e si riferiscono a
9 farmaci e 20 confezioni".
Non ci si dilunga sulle risposte date dal Responsabile della Direzione
Farmaci del Ministero della Salute, anche perché non è il
tema di questo commento. Ben ha fatto il Ministro della Salute a promuovere
l'indagine, ben ha fatto la Commissione Affari Sociali della Camera a
prendere in esame le procedure di farmacovigilanza in Italia, e ben ha
fatto il Responsabile della Direzione Farmaci a puntualizzare il comportamento
tenuto nell'ambito del Ministero della Salute.
Ancora una volta si può evidenziare che il comportamento del Ministero
della Salute in Italia è in linea, e a volte anticipa quello di
analoghi Organi in altri Paesi, sempre in accordo con le conoscenze scientifiche.
La tendenza dei media a cercare le cause di alcuni disfunzioni è
lodevole, soprattutto quando ciò è in favore del cittadino,
e non si limita ai temi della salute. Per questo i media devono portare
lo sguardo anche sugli organi di controllo. Sicuramente questi possono
sbagliare, e spesso si difendono appellandosi a leggi e discipline, e
se non funziona qualcosa, altre leggi e discipline vengono sollecitate
e promosse. Ma le disfunzioni non sono e non possono essere solo là
ove prevale, per necessità di controllo, il criterio di richiamo
al regolamento e alla disciplina. La farmacovigilanza, e qui si torna
alla citazione di Nello Martini, non è solo e non deve essere una
procedura burocratico-amministrativa, ma è un insieme di strategie
e progetti medico-scientifici, in cui il medico e il paziente sono
protagonisti.
Non si vuole spostare il target dei media, si desidera invece concentrare
l'attenzione là dove l'atto medico si compie, e dove i due protagonisti,
sicuramente sensibili soggettivamente, certamente attenti al problema
sicurezza del farmaco, per motivi diversi, sono costretti a recuperare
la valenza positiva del farmaco e non hanno gli elementi necessari, né
sono nelle condizioni di tempo e di scelta, per valutare in modo distaccato
ed obiettivo i relativi effetti collaterali. E' questione di conoscenza,
di esperienza, di sperimentazione attiva e passiva, di epidemiologia,
di statistica le cui dimensioni trascurano spesso il singolo malato.
20.000 pazienti per gli studi di farmacovigilanza attiva, promossi dal
Ministero della Salute sono un numero elevato dal punto di vista organizzativo
e di budget, ma sono una inezia nei confronti di quei farmaci a largo
uso, ove l'effetto negativo, a volte letale, compare nell'uso da parte
di milioni di pazienti. Si è qui in una proporzione bassissima
dal punto di vista statistico, ma in un dramma per quel singolo paziente,
in un danno enorme per la comunità quando l'Azienda che ha proposto
tale farmaco è costretta a ritirarlo (vedi caso nomifensine) per
non danneggiare un paziente, ma conseguentemente non beneficiarne un milione.
"Primum non nocere". La medicina non vuole sacrifici,
non vuole martiri sulla strada della conoscenza e del progresso.
Il cosa fare cade pesantemente su quel connubio tra medico e malato,
in quel determinato momento in cui si imposta la decisione terapeutica.
La scelta viene dalle conoscenze ed esperienze del medico e dal comportamento
del malato di fronte al suo medico. La scelta determina l'appropriatezza
del trattamento e la possibilità da parte del malato di portare
avanti la terapia in modo adeguato e controllato. Il Ministero della Salute
dice (fonte citata) di inviare a 300.000 medici e 60.000 farmacisti
il Bollettino di Informazione sui Farmaci: quanti lo ricevono,
quanti lo leggono, quanti ne memorizzano il contenuto, e quanti sono preparati
a leggerlo? Hanno ottenuto dall'Università l'insegnamento (e non
solo la informazione) e sono stati preparati ad affinare la sensibilità
alla farmacovigilanza, e sono pronti a fare della farmacoprevenzione?
Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere, le Regioni sono sicuramente
sensibili al tema; il Mondo Accademico è in grado di preparare;
i Medici di Medicina Generale, nel momento in cui ricevono il diritto
dovere di prescrivere a nome del Servizio Sanitario, ricevono anche il
compito di sorvegliare. Sono sufficientemente aggiornati i Medici di Medicina
Generale? Le Aziende farmaceutiche inviano loro gli Informatori Tecnico
Scientifici per illustrare il rapporto rischio/beneficio di un farmaco.
I fogli di accompagnamento, come le schede del farmaco, contengono sicuramente
molte notizie utili (che derivano dallo sviluppo del farmaco, e dal monitoraggio
del suo impiego: su quanti e quali pazienti?). Vi è sempre il tempo
e la disponibilità e la capacità da parte del medico di
leggere dette istruzioni e di essere preparato a discernere tra i numeri
dei pazienti trattati negli studi la identità di quel paziente
che deve trattare (per non parlare dei bambini, delle donne in gravidanza
per esempio ove quegli studi sono necessariamente limitati)?
I 20.000 casi di vigilanza attiva e le non molte (almeno questo è
dato di capire) segnalazioni (spontanee o obbligatorie) di vigilanza passiva
non sono certo sufficienti a richiamare le caratteristiche di quel malato,
e comunque vanno interpretate in modo adeguato per non dare un farmaco
a chi potrebbe riceverne un effetto collaterale grave, e per non darlo
a chi potrebbe beneficiarne in modo appropriato. Come è possibile
trasferire dalla sperimentazione e dalla osservazione il messaggio personalizzato
a quel paziente? Lo studio del genoma e lo studio del proteoma darà
conoscenze utili anche per un loro trasferimento attuale a quel paziente.
Ma oggi?
Vi è da aggiungere che il monitoraggio (attivo o passivo), come
viene sviluppato oggi, non riesce a mettere a fuoco in modo efficace le
molte variazioni biologiche, sia sul malato, che sul momento etio-patogenetico,
quando esse accadono sotto la pressione di un farmaco (e qui non si parla
solo di antibiotici). Come rilevare nelle larghe popolazioni, cronicamente
trattate (quali ad es. ipertesi, diabetici, ecc.), l'effetto a distanza
dell'impatto di quel determinato trattamento?
Ci si rende conto che il Medico di Medicina Generale, per quanto sensibile,
attento e preparato anche sulle procedure attuali di farmacovigilanza,
si trova a volte solo e lontano, e spesso senza adeguati mezzi per un
comportamento appropriato.
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