SAFETY
OF AGENTS USED TO PREVENT MOTHER-TO-CHILD TRANSMISSION OF HIV: IS THERE
ANY CAUSE FOR CONCERN?
Thorne C, Newell ML
Drug Safety 2007; 30:203-213
Basandosi
sulle conoscenze a disposizione, i benefici della profilassi antiretrovirale
nella prevenzione della trasmissione del virus HIV madre-figlio effettuata
con la terapia HAART superano di gran lunga i potenziali eventi avversi.
I farmaci antiretrovirali sono usati nella pratica comune dal 1994 per
ridurre il rischio di trasmissione dell'infezione da HIV dalla madre al
bambino, seguendo le indicazioni della sperimentazione clinica AIDS
Clinical Trials Group 076 che dimostravano l'efficacia di zidovudina
nel ridurre il rischio in utero e la trasmissione perinatale.
L'uso di antiretrovirali in gravidanza è molto diverso a seconda
delle zone geografiche, con una vastissima diffusione della terapia antiretrovirale
ad alta attività (HAART) nei contesti ricchi di risorse per ritardare
la progressione della malattia nella madre e per prevenire il contagio
al bambino. Nelle aree più povere, invece, sono praticati regimi
profilattici abbreviati focalizzati sul periodo perinatale e l'accesso
al protocollo HAART è, attualmente, molto limitato.
I rischi potenziali associati all'esposizione ad una terapia antiretrovirale
per una donna in gravidanza, per un feto e per un neonato dipendono dalla
durata dell'esposizione, dal numero e dal tipo di farmaci assunti.
Dato che i benefici del regime HAART nel ridurre il rischio di trasmissione
dell'infezione dalla madre al feto sono notevoli, ne è stato accettato
l'impiego su vasta scala, nonostante la mancanza di dati sulla sicurezza
in gravidanza.
Studi sugli animali suggeriscono un aumento del rischio di malformazioni
associate all'esposizione a specifici antiretrovirali, anche se sono limitate
le evidenze che supportano questa ipotesi in studi su soggetti umani.
Sperimentazioni cliniche, studi di coorte e di monitoraggio non hanno
mostrato evidenze di un aumento del rischio di malformazioni congenite
associate all'esposizione in utero a zidovudina o ad altri antiretrovirali
comunemente usati, con una prevalenza stimata del 2-3% di difetti alla
nascita (simile a quella riscontratata nella popolazione generale). Un'esposizione
profilattica a zidovudina per la prevenzione del contagio madre-figlio
è solitamente associata ad una lieve e reversibile, e raramente
grave, anemia nel bambino. Comunque, è stato riportato un impatto
a medio termine sui parametri ematologici dei bambini esposti ad una terapia
antiretrovirale, con una riduzione piccola ma persistente dei livelli
di neutrofili, piastrine e linfociti in bambini con più di 8 anni.
Resta incerta però la rilevanza clinica di questo evento.
Attualmente, non ci sono evidenze che suggeriscono che un'esposizione
in utero o nel periodo neonatale a farmaci antiretrovirali sia associata
ad un aumento del rischio di cancro nella fanciullezza, ma non possono
essere esclusi potenziali effetti mutageni e cancerogeni nell'età
adulta.
La tossicità mitocondriale degli analoghi dei nucleosidi è
ben nota da studi in soggetti non in gravidanza, mentre gli studi sugli
animali hanno fornito evidenze di tossicità mitocondriale da esposizione
in utero ad antiretrovirali. Patologie mitocondriali clinicamente evidenti
in bambini esposti ad antiretrovirali sono state descritte solo in Europa,
con un'incidenza a 18 mesi di disfunzione mitocondriale stabilita stimata
dello 0,26% (bambini esposti).
Per quanto riguarda gli eventi avversi in gravidanza, da una varietà
di studi osservazionali sono stati riportati aumenti del rischio di nascite
premature, pre-eclampsia e diabete gestazionale, con una forza variabile
dell'evidenza e con risultati conflittuali.
Basandosi sulle conoscenze a disposizione, gli immensi benefici della
profilassi antiretrovirale nella prevenzione del contagio madre-figlio
superano di gran lunga i potenziali eventi avversi. Tuttavia, questi potenziali
eventi avversi richiedono monitoraggi ulteriori e più a lungo termine,
poiché sembrano essere rari e verificarsi nella tarda fanciullezza.
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