USE
OF NUCLEOSIDE REVERSE TRANSCRIPTASE INHIBITORS AND RISK OF MYOCARDIAL
INFARCTION IN HIV-INFECTED PATIENTS ENROLLED IN THE DAD STUDY: A MULTI-COHORT
COLLABORATION
DAD Study Group
Lancet. Pubblicato on line il 2 aprile 2008
Un nuovo studio suggerisce che due farmaci anti-HIV, abacavir e didanosina,
sembrano essere associati ad un aumentato rischio di infarto miocardico,
mentre non ci sarebbero correlazioni tra i farmaci comunemente utilizzati,
zidovudina, stavudina o lamivudina, e i tassi dell'evento.
RIASSUNTO
CONTESTO Non è chiaro se gli inibitori nucleosidici della
trascrittasi inversa aumentino il rischio di infarto miocardico (IM) in
individui affetti da HIV. Scopo dello studio era indagare se l'esposizione
a questi farmaci fosse associata ad un rischio superiore di IM in uno
studio osservazionale prospettico su un'ampia coorte di pazienti HIV-infetti.
METODI Sono stati usati i modelli di regressione di Poisson per
quantificare la relazione tra uso cumulativo, recente (corrente o negli
ultimi 6 mesi) e passato di zidovudina, didanosina, stavudina, lamivudina
e abacavir e lo sviluppo di infarto miocardico in 33.347 pazienti arruolati
nello studio DAD (Data Collection on Adverse Events of Anti-HIV Drugs).
I risultati sono stati aggiustati per i fattori di rischio, che difficilmente
vengono influenzati dalla terapia anti-retrovirale, per la coorte, per
l'anno solare e per l'uso di altri anti-retrovirali.
RISULTATI In oltre 157.912 anni-persona, 517 pazienti hanno sviluppato
infarto miocardico. Non sono state riscontrate associazioni tra il tasso
di IM e l'uso cumulativo o recente di zidovudina, stavudina o lamivudina.
Per contro, l'uso recente, ma non cumulativo, di abacavir o didanosina
era associato ad un maggior tasso di IM (rispetto a coloro che non avevano
fatto uso recente dei farmaci, tasso relativo 1,90; IC al 95% 1,47-2,45
[p=0,0001] con abacavir e 1,49; 1,14-1,95 [p=0,003] con didanosina); i
tassi non erano significativamente più alti in coloro che avevano
interrotto la terapia da più di sei mesi rispetto a coloro che
non avevano mai fatto uso di quei farmaci. Dopo aggiustamento per il rischio
coronarico a 10 anni, l'uso recente di didanosina che di abacavir rimaneva
associato a tassi superiori di infarto miocardico (1,49; 1,14-1,95 [p=0,004]
con didanosina; 1,89; 1,47-2,45 [p=0,0001] con abacavir).
INTERPRETAZIONE Esiste un maggior rischio di infarto miocardico
nei pazienti esposti ad abacavir e didanosina nei 6 mesi successivi all'assunzione.
L'eccesso di rischio non sembra essere spiegato dalla presenza di fattori
di rischio cardiovascolari tradizionali e non era presente dopo 6 mesi
dall'interruzione della terapia.
Lo studio DAD è uno studio osservazionale e, come tale, non è
disegnato per stabilire la causalità dell'associazione. Tuttavia,
l'effetto dell'aumento del rischio di IM con abacavir e didanosina permane
dopo diverse analisi di controllo per potenziali fattori confondenti;
inoltre, un trial randomizzato volto a stabilire una relazione causale
tra i farmaci e l'evento CV necessiterebbe di ameno 5000 pazienti per
braccio e di un follow-up di almeno 2 anni e sarebbe difficilmente realizzabile.
Anche se il possibile meccanismo patogenetico sottostante è ancora
sconosciuto, questi effetti non sembrano essere mediati da cambiamenti
dei fattori di rischio metabolici. L'osservazione che l'influenza del
farmaco viene meno dopo l'interruzione della terapia supporta l'ipotesi
di un meccanismo sottostante ad azione rapida. Inoltre, abacavir ha mostrato
di indurre cardiomiopatia negli animali e il suo metabolita intracellulare
carbovir è un agente potenzialmente citotossico.
In una pubblicazione contestuale (1), la GlaxoSmithKline (GSK), produttrice
di abacavir, riporta le proprie analisi di 54 studi aggregati che non
suggeriscono un aumento del rischio di IM con l'uso del farmaco. Ma l'azienda
aggiunge che "i risultati dello studio DAD saranno attentamente considerati
e ci si propone una più completa comprensione di questi dati ed
una comunicazione aperta con i medici e le agenzie regolatorie".
(1)
RISK OF MYOCARDIAL INFARCTION AND NUCLEOSIDE ANALOGUES
Cutrell A, Brothers C, Yeo J, et al.
Lancet. Pubblicato on line il 2 aprile 2008
SUMMARY
BACKGROUND Whether nucleoside reverse transcriptase inhibitors increase
the risk of myocardial infarction in HIV-infected individuals is unclear.
Our aim was to explore whether exposure to such drugs was associated with
an excess risk of myocardial infarction in a large, prospective observational
cohort of HIV-infected patients.
METHODS We used Poisson regression models to quantify the relation between
cumulative, recent (currently or within the preceding 6 months), and past
use of zidovudine, didanosine, stavudine, lamivudine, and abacavir and
development of myocardial infarction in 33?347 patients enrolled in the
DAD (Data Collection on Adverse Events of Anti-HIV Drugs) study. We adjusted
for cardiovascular risk factors that are unlikely to be affected by antiretroviral
therapy, cohort, calendar year, and use of other antiretrovirals.
FINDINGS Over 157.912 person-years, 517 patients had a myocardial infarction.
We found no associations between the rate of myocardial infarction and
cumulative or recent use of zidovudine, stavudine, or lamivudine. By contrast,
recent-but not cumulative-use of abacavir or didanosine was associated
with an increased rate of myocardial infarction (compared with those with
no recent use of the drugs, relative rate 1·90, 95% CI 1·47-2·45
[p=0·0001] with abacavir and 1·49, 1·14-1·95
[p=0·003] with didanosine); rates were not significantly increased
in those who stopped these drugs more than 6 months previously compared
with those who had never received these drugs. After adjustment for predicted
10-year risk of coronary heart disease, recent use of both didanosine
and abacavir remained associated with increased rates of myocardial infarction
(1·49, 1·14-1·95 [p=0·004] with didanosine;
1·89, 1·47-2·45 [p=0·0001] with abacavir).
INTERPRETATION There exists an increased risk of myocardial infarction
in patients exposed to abacavir and didanosine within the preceding 6
months. The excess risk does not seem to be explained by underlying established
cardiovascular risk factors and was not present beyond 6 months after
drug cessation.
|