LA TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE RIDUCE IL RISCHIO DI ICTUS E DI MORTALITA'
NEI PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE

EFFECTS OF INTENSITY OF ORAL ANTICOAGULATION ON STROKE SEVERITY AND MORTALITY IN ATRIAL FIBRILLATION
Hylek EM, Go AS, Chang Y, Jensvold NG, Henault LE, Selby JV, Singer DE
N Engl J Med 2003; 349:1019-1026

RIASSUNTO

CONTESTO L'incidenza di ictus in pazienti con fibrillazione atriale risulta fortemente ridotta dalla terapia anticoagulante orale, con risultati finali che si concretizzano in valori dell'International Normalized Ratio (INR) >2,0. L'effetto dell'intensità dell'azione anticoagulante sulla gravità dell'ictus associato alla fibrillazione atriale non è noto, ma è fondamentale nella scelta del target di INR.
METODI I ricercatori hanno studiato gli ictus ischemici incidenti in una coorte di 13.559 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare. I casi di ictus sono stati selezionati attraverso i database dell'ospedalizzazione e valutati sulla base delle relative cartelle cliniche che hanno fornito informazioni anche sull'uso di warfarin o di aspirina, sul valore dell'INR al ricovero e sulla presenza di altre patologie. Inoltre sono state stimate la gravità dell'ictus secondo la scala di Rankin modificata e la mortalità a 30 giorni attraverso i dati dell'ospedalizzazione.
RISULTATI Dei 596 casi di ictus ischemici osservati, il 32% si è verificato in soggetti in trattamento con warfarin, il 27% in soggetti in terapia con aspirina e il 42% in pazienti che non assumevano nessuno dei due farmaci. Tra quelli del gruppo warfarin, un INR <2,0 al momento del ricovero, rispetto ad un INR >2,0, aveva determinato un aumento indipendente del rischio relativo di ictus grave in un modello di regressione logistica (odds ratio 1,9; IC 95% 1,1-3,4) secondo tre classi di gravità e un aumento anche del rischio di morte nei 30 giorni successivi all'evento (hazard ratio 3,4; IC 95% 1,1-10,1). Un valore INR compreso tra 1,5 e 1,9 all'atto del ricovero, risultava associato ad una percentuale di mortalità del tutto simile a quella osservata nel caso di un valore di INR<1,5 (18% e 15% rispettivamente). Il tasso di mortalità a 30 giorni tra i pazienti che avevano assunto aspirina al momento dell'ictus era simile a quello osservato tra i soggetti trattati con warfarin e che presentavano un INR<2,0.
CONCLUSIONI Nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, la terapia anticoagulante che determina un INR >2,0 riduce non soltanto la frequenza di ictus ischemico e la sua gravità, ma anche il rischio di morte per ictus. I risultati di questo lavoro forniscono un'ulteriore prova a sfavore dell'impiego di livelli più bassi del target di INR in pazienti con fibrillazione atriale.

COMMENTO
La fibrillazione atriale non valvolare aumenta di cinque volte il rischio di ictus ischemico, presumibilmente attraverso un meccanismo atrioembolico. Tali ictus cardioembolici presentano una gravità maggiore rispetto agli altri tipi di ictus ischemici.
Concordi con queste osservazioni sono i dati di numerosi studi basati sulla popolazione che mostrano come i tassi di mortalità siano più alti per i casi di ictus associati a fibrillazione atriale. Trial randomizzati hanno evidenziato che warfarin risulta più efficace nella prevenzione di ictus in soggetti con fibrillazione atriale, molto probabilmente riducendo la formazione di trombi atriali.
La piena efficacia di una terapia anticoagulante viene riconosciuta solo in presenza di valori di International Normalized Ratio (INR)>2,0. Sebbene l'effetto degli anticoagulanti orali sulla frequenza di ictus sia chiaro, la loro azione sulla gravità dell'ictus e sulla mortalità associata all'ictus nei pazienti con fibrillazione atriale è ancora poco studiata. In particolare, la rilevanza dell'INR sulle severità della malattia cardiaca in tali soggetti non è ancora noto.
Gli autori di questo lavoro hanno stimato l'effetto dell'intensità di una terapia anticoagulante sulla gravità dell'ictus ischemico e sulla percentuale di mortalità a 30 giorni dopo un ictus, in un'ampia coorte di soggetti con fibrillazione atriale non valvolare. I ricercatori hanno anche determinato le percentuali di ictus ischemico e di emorragie intracraniche correlate all'intensità del trattamento anticoagulante, per fornire a medici e pazienti indicazioni migliori sui valori ottimali di INR da raggiungere. L'emorragia intracranica rappresenta un tipo di tossicità che meglio si avvicina all'ictus ischemico in termini di effetti clinici e funzionali.
Tra i soggetti del Kaiser Permanente of Northern California, un ampio sistema sanitario integrato, sono stati selezionati quei pazienti (età>18 anni; età media 78 anni; 55% donne) a cui era stata diagnosticata una fibrillazione atriale non valvolare nel periodo luglio 1996 e dicembre 1997. Sono stati esclusi dallo studio tutti quelli con diagnosi di stenosi mitrale o di valvole cardiache riparate o sostituite, con fibrillazione atriale peri-operatoria transiente o con recente ipertiroidismo. La coorte finale ha incluso 13.559 pazienti.
Dalle cartelle cliniche sono state estrapolate tutte le informazioni utili, tra cui storie precedenti di ictus ischemico o di malattia cerebrovascolare documentata come aterosclerosi carotidea o vertebrobasilare, oppure endoarterectomia carotidea precedente; storia di insufficienza cardiaca congestizia, di cardiopatia ischemica, di diabete mellito, di ipertensione e di trattamento ospedaliero con anticoagulanti o trombolitici (warfarina o aspirina).
Gli autori hanno utilizzato la scala di Rankin modificata, adattata al Oxfordshire Community Stroke Project, per classificare il deficit funzionale al momento della dimissione ospedaliera. Il punteggio di 1 o 2 definisce soggetti con ictus minore e deficit neurologico residuo che non altera l'autonomia dell'individuo. Il punteggio corrispondente a 3 o 4 individua soggetti con ictus maggiore accompagnato da deficit neurologico che li rende non più autonomi. Infine un punteggio di 5 indica un ictus grave che ha portato ad una dipendenza totale dell'individuo, generalmente associato ad uno stato di depressione.
Durante il periodo dello studio sono stati individuati 596 pazienti con fibrillazione atriale e ictus ischemico; di questi, 188 (32%) assumevano warfarina al momento dell'ictus, 160 (27%) aspirina mentre 248 (42%) non assumevano nessuno dei due farmaci anticoagulanti. Un terzo dei soggetti presentava una storia precedente di insufficienza cardiaca congestizia (CHF), di cardiopatia ischemica (CHD), o di ictus. Quasi il 70% presentava ipertensione.
Il gruppo dei pazienti trattati con warfarina aveva un'età media leggermente inferiore a quella degli altri due gruppi, comprendeva meno donne e presentava una più alta prevalenza di CHD, di CHF, di diabete mellito e ictus precedente. Il valore medio di INR all'atto del ricovero era <1,7.
Precedenti studi avevano dimostrato che l'incidenza di ictus ischemico in soggetti con fibrillazione atriale risultava notevolmente ridotta da una terapia con warfarina che portava ad un aumento del un valore di INR attorno a 2,0, una relazione questa, confermata anche dai risultati di questo lavoro.
I ricercatori hanno anche osservato che un valore di INR >2,0 riduce in modo marcato la gravità dell'ictus e il tasso di mortalità a breve termine. Inoltre pazienti con fibrillazione atriale e un INR <2, che hanno avuto un ictus ischemico, risultano esposti ad un rischio di morte a 30 giorni tre volte superiore a quello di pazienti con un INR >2,0.
Le linee guida esistenti valutano esclusivamente l'efficacia della terapia con warfarina nella prevenzione dell'ictus in pazienti con fibrillazione atriale. I dati estrapolabili da questo lavoro sottolineano un importante beneficio del trattamento anticoagulante: gli ictus che si verificano tra pazienti in adeguata terapia anticoagulante determinano meno disabilità grave o decessi.
Le recenti Linee Guida dell'American College of Cardiology - American Heart Association - European Society for Cardiology suggeriscono l'utilizzo di un target più basso di INR per pazienti con fibrillazione atriale di età >75 anni.
I dati di questo lavoro indicano che un INR <2,0 può sostanzialmente aumentare la probabilità di morte e di disabilità grave derivanti da un ictus correlato a fibrillazione atriale.
La terapia anticoagulante che porta ad un valore di INR >2,0 associato ad un deficit neurologico meno grave rispetto al caso di assenza di terapia antitrombotica o in presenza di un trattamento che determina un INR più basso. Infine il tasso di mortalità a 30 giorni è risultato del 6% tra i pazienti che assumevano warfarina e che presentavano un INR >2%, rispetto al 16% di quelli, sempre in terapia con warfarina, ma con un valore di INR <2,0, al 15% di quelli che assumevano aspirina e al 24% di quelli non in trattamento anticoagulante. Questi dati forniscono un ulteriore supporto ad un utilizzo di anticoagulanti mirati a raggiungere un valore di INR >2,0 nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare.