UN NUOVO STUDIO METTE IN DUBBIO GLI EFFETTI ANTI-ARITMICI DELL'OLIO DI PESCE


FISH OIL ARRHYTHMIC BENEFITS IN DOUBT
Fonte: American Heart Association Scientific Sessions 2003


Contrariamente a studi precedenti, un trial multicentrico randomizzato ha mostrato che integrazioni giornaliere di olio di pesce possono addirittura aumentare il rischio di aritmie ventricolari ricorrenti nei pazienti sopravvissuti a tachiaritmia ventricolare.
I risultati, presentati all'American Heart Association (AHA) Scientific Session 2003 a Orlando, Florida, smentiscono quanto emerso dagli studi osservazionali caso-controllo che sostengono gli effetti antiaritmici derivanti dell'assunzione di alimenti ricchi di acidi grassi polinsaturi omega-3 (n-3 PUFAs). Pesci come sgombro, trota d'acqua dolce, sardina, tonno albacore (pinna gialla) e salmone sono fonti alimentari particolarmente ricche di n-3 PUFAs.
Gli autori affermano che questo è il primo trial randomizzato, controllato, in doppio cieco, condotto nell'essere umano, per valutare l'effetto degli n-3PUFAs sulle aritmie.
200 pazienti, sottoposti ad impianto di defibrillatore per la cardioversione (ICD), con episodio recente di tachicardia ventricolare (VT) o fibrillazione ventricolare (VF), sono stati randomizzati al trattamento con due capsule al giorno di olio di pesce, contenenti 1,8 g di n-3 PUFA, 42% di EPA (acido eicosapentaenoico) e 30% di DHA (acido docosaesaenoico), o placebo (capsule di olio di oliva).
A tutti i pazienti veniva consigliato di seguire la dieta suggerita dall'AHA, nella quale la percentuale totale delle calorie derivanti dai grassi non doveva superare il 30%.
I partecipanti sono poi stati controllati ogni tre mesi per due anni e sono stati segnalati tutti gli eventi legati agli interventi di ICD. Un sottogruppo di 49 pazienti è stato inoltre sottoposto a studi elettrofisiologici per misurare il periodo di refrattarietà ventricolare, l'inducibilità di VT o VF, e la soglia di defibrillazione al basale e dopo tre mesi di terapia.
Il livello medio degli n-3 PUFA nella membrana dei globuli rossi aumentava dal 4,7% al basale all'8,3% dopo tre mesi di terapia (p<0.001). Tale variazione non è stata però osservata nel gruppo di soggetti trattati con placebo; dopo 3-24 mesi si è assistito ad una stabilizzazione delle concentrazioni ematiche di tali composti in entrambe i gruppi di pazienti.
L'end point primario relativo al periodo di insorgenza del primo episodio di VT o VF dopo la randomizzazione era simile in entrambi i gruppi, sebbene si fosse evidenziato un trend verso un rischio aumentato di aritmia ventricolare nei pazienti randomizzati all'olio di pesce durante lo studio (p=0,19).
A 6 mesi, il 36% dei pazienti trattati con placebo aveva VT/VF, confrontati con il 47% di quelli in terapia con olio di pesce. Ad 1 anno, le percentuali erano, rispettivamente 41% e 51% e a due anni 60% e 66%.
I pazienti nei quali si è osservato un episodio di VT (n=67) costituivano l'unico sottogruppo nel quale l'olio di pesce era correlato ad una successiva insorgenza di VT/VF. Nei soggetti con i livelli più alti di n-3 PUFAs si evidenziava l'incidenza maggiore di VT/VF, che era concorde con un profilo dose-risposta.
Nei pazienti che assumevano olio di pesce sia tachicardia ventricolare che fibrillazione duravano più giorni rispetto a quelli che assumevano placebo (p<0,01), sebbene non si fossero evidenziate differenze tra i gruppi nei parametri elettrofisiologici misurati.
È emerso anche un trend verso una sopravvivenza maggiore conseguente all'assunzione di olio di pesce, benchè non significativa. Si sono verificati solamente due decessi causati da aritmia ed entrambi sono avvenuti nel gruppo in trattamento con olio di pesce.
I risultati di questo lavoro non hanno chiarito il meccanismo delle morti improvvise meno frequenti osservate con l'integrazione di acidi grassi omega-3 dopo infarto miocardico e, sebbene questi acidi grassi sembrino avere un effetto protettivo contro la malattia cardiaca ischemica, non è emerso lo stesso beneficio nei confronti dell'aritmia.
Nonostante ciò, il presidente della sessione del congresso in cui è stato presentato lo studio, Raymond Gibbons, ha affermato che questo risultato negativo, relativo ad una popolazione molto specifica, potrebbe oscurare gli effetti positivi dell'olio di pesce osservati in precedenza in una popolazione più ampia.