BETA
BLOCKERS IN THE MANAGEMENT OF CHRONIC KIDNEY DISEASE
Bakris GL, Hart P, E Ritz
Kidney Int 2006; 70:1905-13
Un
maggior uso di beta bloccanti come antipertensivi potrebbe ulteriormente
stimolare la riduzione del rischio di insufficienza cardiaca.
RIASSUNTO
Il sistema nervoso simpatico modula la funzione renale attraverso i recettori
adrenergici beta 1 (gittata cardiaca e rilascio di renina), alfa 1 (costrizione
sistemica e reno-vascolare) e beta 2 (dilatazione reno-vascolare). Nella
malattia renale cronica (CKD) si nota comunemente una iperattività
del simpatico e questo rappresenta un contributo importante all'aumento
del rischio di eventi cardiovascolari, così come al peggioramento
dello stato renale.
Valutazioni recenti sull'uso di farmaci in persone con CKD mostrano una
percentuale sorprendentemente bassa di pazienti in terapia con beta-bloccanti,
specialmente negli stadi più avanzati di CKD, in cui il rischio
cardiovascolare è più alto. Questo è in larga parte
dovuto alla tollerabilità di tali molecole. In più, i beta-bloccanti
idrosolubili (atenololo, metoprololo) sono dializzabili e richiedono un
supplemento di dose per evitare l'esacerbazione di aritmie conseguenti
alla dialisi.
I nuovi vasodilatatori beta-bloccanti hanno una miglior tollerabilità
ed effetti diversi sull'emodinamica renale e sulle variabili metaboliche.
Questi effetti sono in relazione con il parziale effetto alfa 1 antagonista
di molecole tipo carvedilolo e labetololo (carvedilolo ha un effetto alfa
1 antagonista maggiore).
Pochi studi hanno valutato i beta-bloccanti sul rischio cardiovascolare
in pazienti CKD. Studi con carvedilolo hanno dimostrato un aumento attenuato
dell'albuminuria ed una riduzione degli eventi cardiovascolari nei pazienti
CKD ipertesi.
Il lavoro opera una revisione dei dati ottenuti da sperimentazioni sull'animale
e sull'uomo che valutano i beta-bloccanti in pazienti con CKD, considerando
in particolare le molecole ad azione vasodilatante. Sembra che un maggior
uso di questa classe di farmaci per il controllo della pressione arteriosa
possa ulteriormente stimolare la riduzione del rischio di insufficienza
cardiaca, la causa più comune di morte nel primo anno di dialisi.
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