LO STUDIO INVEST MOSTRA UN'EQUIVALENZA DI EFFICACIA TRA I CCB E I BETA-BLOCCANTI
NEI PAZIENTI CON CAD E IPERTENSIONE



52° Congresso annuale della American College of Cardiology, Marzo 2003

Questo trial prospettico di ampie dimensioni, disegnato per confrontare una strategia basata sull'uso dei bloccanti dei canali dal calcio (CCB) con un approccio che prevede l'utilizzo iniziale di beta-bloccanti in pazienti ipertesi con malattia coronarica (CAD), ha dimostrato che i due interventi sono equivalenti.
Il problema della concomitanza di queste due patologie è in crescita, ma contemporaneamente non sono disponibili dati per una gestione clinica efficace. Infatti sono stati condotti ben pochi studi randomizzati in questa tipologia di pazienti. Il trattamento di routine è costituito dai beta-bloccanti, anche se rimane aperto il problema della loro efficacia, in particolar modo negli over 60.

Lo studio INVEST (International Verapimil SR-Trandolapril Study) ha randomizzato inizialmente i pazienti (età >50 anni) a verapamil in formulazione a rilascio controllato (n=11.267) o ad atenololo (n=11.309), con una strategia successiva in tre fasi. Lo studio era in aperto, ma con la valutazione degli end-point in cieco (PROBE) e con analisi statistiche condotte sulla base dell'intention to treat.
L'obietto terapeutico per la pressione arteriosa era di 140/90 mm Hg o 130/85 mm Hg nei pazienti con diabete o disfunzioni renali, come indicato nelle Linee-guida della US Joint National Committee on Prevention, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure. Ai soggetti che non raggiungevano questo target con la monoterapia iniziale veniva concesso di aumentare la dose o di assumere un secondo farmaco (ACE-inibitore). La fase successiva era di aumentare la dose di questi farmaci, qualora non fosse stato ancora raggiunto il target. Da ultimo, un terzo farmaco poteva essere aggiunto (idroclorotiazide nel braccio in verapamil, trandolapril nel braccio in atenololo). Il protocollo permetteva inoltre l'uso di farmaci antipertensivi non previsti nel disegno dello studio.
Il follow-up è durato dai 2 ai 5 anni. L'incidenza dell'end point primario, ossia la prima occorrenza di morte per tutte le cause, di ictus non fatale o infarto miocardico non fatale, non era differente nei due gruppi di trattamento (RR 0,98; p=0,62). La riduzione della pressione è stata pressoché identica con i due regimi terapeutici per 4 anni di osservazione, con più del 90% dei pazienti in entrambi i gruppi che ha raggiunto il controllo pressorio richiesto.
Questo studio aggiunge ulteriori evidenze a favore di una terapia antipertensiva con più farmaci.

Un risultato interessante emerso dalle analisi è la bassa incidenza di nuovi casi di diabete nel braccio CCB. Questo potrebbe avere importanti ricadute in termini di salute pubblica, ma richiede ulteriori conferme. Dei pazienti nel gruppo in CCB, 499 (6,16%) ha sviluppato diabete nel corso dello studio in confronto a 589 (7,29%) nell'altro gruppo, con un 13% di riduzione relativa. Non è ancora noto il motivo di questa differenza; tuttavia si può ipotizzare che l'ACE-inibitore, utilizzato come secondo farmaco dopo il CCB, sia protettivo, come già dimostrato nello studio ALLHAT, oppure la somministrazione di idroclorotiazide potrebbe aver provocato alcuni casi di diabete. Secondo gli Autori l'ipotesi più probabile è la seconda. Ci sono altre evidenze comunque che suggeriscono che gli stessi CCB proteggono contro l'insorgenza di diabete.
Lo studio INVEST è il primo trial randomizzato in cui la maggioranza dei soggetti era di sesso femminile (52%); inoltre il 36% erano ispanici e il 16% afro-americani. Non sono state osservate differenze tra i diversi gruppi etnici.
I ricercatori hanno tuttavia evidenziato alcuni sottogruppi a rischio molto alto, ad es. i pazienti con età superiore ai 70 anni e quelli con insufficienza cardiaca congestizia; entrambi i gruppi avevano un'incidenza di eventi 3 volte superiore ai rispettivi gruppi di riferimento. Le due strategie di intervento continuavano ad essere equivalenti.
Si può concludere quindi che sono ora disponibili terapie alternative ai beta-bloccanti per il trattamento dell'ipertensione in presenza di CAD, in particolar modo nei pazienti che non tollerano la cura standard, e che una strategia antipertensiva con più farmaci è più efficace nel raggiungimento dell'obiettivo terapeutico.