FARMACOEPIDEMIOLOGIA
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USO
DI STATINE E INCIDENZA DI ALZHEIMER
La relazione tra uso di statine e sviluppo del morbo di Alzheimer è
poco chiara e controversa. Sebbene studi in vitro e su animali abbiano
suggerito un effetto protettivo del farmaco, pochi sono i dati ottenuti
in studi post-mortem su tessuti cerebrali di uomini con caratteristiche
note prima del decesso. Questo studio ha analizzato l'associazione tra
statine e sviluppo di Alzheimer o peggioramento delle capacità
cognitive in 929 soggetti dal Religious Orders Study, senza evidenze
di demenza al basale e seguiti prospetticamente per 12 anni. L'uso di
statine (12,8%) non era associato all'incidenza di Alzheimer (199 soggetti),
né alla variazione della funzione cognitiva o ad altre modificazioni
fisio-patologiche correlate alla malattia.
[STATINS, INCIDENT ALZHEIMER DISEASE, CHANGE IN COGNITIVE
FUNCTION, AND NEUROPATHOLOGY. Neurology, pubblicato on line il 16 gennaio
2008]
TRATTAMENTO
CON EPARINA E RISCHIO DI EVENTI CV
I pazienti con sindrome coronarica acuta e coloro che subiscono un intervento
percutaneo coronarico in terapia con eparina e che sviluppano successivamente
trombocitopenia sono a rischio di eventi avversi. Questo studio si è
proposto di determinare l'incidenza, i predittori e il significato prognostico
della trombocitopenia in 2420 pazienti ospedalizzati in terapia con eparina.
La trombocitopenia (sviluppata dal 36,4% dei pazienti) era associata ad
un aumento della mortalità, del rischio di infarto miocardico e
insufficienza cardiaca congestizia. La riduzione nella conta piastrinica
di più del 70% era il più forte predittore indipendente
di morte.
[INCIDENCE AND PROGNOSTIC SIGNIFICANCE OF THROMBOCYTOPENIA
IN PATIENTS TREATED WITH PROLONGED HEPARIN THERAPY. Arch Intern Med 2008;
168:94-102]
CONTRACCETTIVI
ORALI E CANCRO OVARICO
Sebbene il ruolo protettivo dei contraccettivi orali nello sviluppo di
cancro ovarico sia già noto, non si sa per quanto tempo questo
effetto si protragga dopo l'interruzione dell'assunzione. Sono stati perciò
analizzati i dati relativi a 110.560 donne (tra cui 23.257 casi di cancro
ovarico), arruolate per 45 studi epidemiologici in 21 stati. L'utilizzo
di contraccettivi orali è stato riscontrato nel 31% dei casi e
nel 37% dei controlli, con una durata media della terapia di 4,4 e 5,0
anni, rispettivamente. La riduzione del rischio associata all'assunzione
dei farmaci perdurava fino a 30 anni dopo l'interruzione del trattamento,
anche se l'entità dell'effetto diminuiva nel tempo (da -29% in
caso di terapia interrotta da meno di 10 anni a -15% in caso di terapia
interrotta da 20-29 anni). I risultati suggeriscono che i contraccettivi
orali hanno già prevenuto almeno 200.000 casi di cancro ovarico
e 100.000 morti per questa causa; nei prossimi decenni queste cifre potrebbero
aumentare di 30.000 l'anno.
[OVARIAN CANCER AND ORAL CONTRACEPTIVES: COLLABORATIVE
REANALYSIS OF DATA FROM 45 EPIDEMIOLOGICAL STUDIES INCLUDING 23,257 WOMEN
WITH OVARIAN CANCER AND 87,303 CONTROLS. The Lancet 2008; 371:303-314]
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EPIDEMIOLOGIA
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RISCHIO
DI IPERTENSIONE: UN NUOVO RISK SCORE DALLO STUDIO FRAMINGHAM
Nel 2003 il Seventh Joint National Committee on Prevention, Detection,
Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure ha stabilito la categoria
di "pre-ipertensione" (sistolica 120-139 mm Hg e/o diastolica
80-89 mm Hg), sottolineando la necessità di uno stile di vita salutare
per i soggetti inclusi, sulla base di dati epidemiologici che correlavano
una pressione arteriosa non ottimale (>120/80 mm Hg), allo sviluppo
di ipertensione e al rischio di malattie cardiovascolari. Dal momento
che la condizione di pre-ipertensione è largamente diffusa, ma
la sua evoluzione dipende strettamente da fattori clinici come i valori
pressori di partenza, l'età o l'IMC, è stato sviluppato
un semplice risk score che può essere usato dai medici per stimare
la probabilità di sviluppare ipertensione a 1, 2 e 4 anni e per
identificare i soggetti maggiormente a rischio. L'elaborazione si è
basata sui dati di 1717 soggetti non ipertesi arruolati nel Framingham
Heart Study, relativamente a età, sesso, pressione arteriosa
al basale, IMC, storia familiare di ipertensione e abitudine al fumo.
[A RISK SCORE FOR PREDICTING NEAR-TERM INCIDENCE OF
HYPERTENSION: THE FRAMINGHAM HEART STUDY. Ann Intern Med 2008; 148:102-10]
INDICE
DI RISCHIO PROGNOSTICO PER LA MORTALITÀ A LUNGO TERMINE DA ARTEROPATIA
PERIFERICA
L'arteriopatia periferica (peripheral arterial disease, PAD) è
una manifestazione di aterosclerosi sistemica ed è associata all'aumento
di morbilità e mortalità cardiovascolare. L'identificazione
dei soggetti a rischio è quindi importante nella prevenzione cardiovascolare
e un indice di rischio potrebbe facilitare la valutazione dei fattori
di rischio anche in uno stadio precoce della patologia. Lo studio ha analizzato
e seguito per 10 anni 2642 soggetti ed ha sviluppato un indice di rischio
per la mortalità a lungo termine basato su fattori quali disfunzione
renale, insufficienza cardiaca, variazioni del segmento ST all'elettrocardiogramma,
età, ipercolesterolemia, indice caviglia-brachiale, uso di terapie
cardiache in cronico. Questo indice di rischio è stato validato
in due coorti e si è dimostrato semplice, preciso e con alto potere
prognostico.
[A PROGNOSTIC RISK INDEX FOR LONG-TERM MORTALITY IN
PATIENTS WITH PERIPHERAL ARTERIAL DISEASE. Arch Intern Med 2007;167:2482-2489]
VALORE
PREDITTIVO DELLA CALCIFICAZIONE CORONARICA PER FUTURI EVENTI CARDIACI
Poiché circa il 50% delle morti coronariche si verificano in pazienti
asintomatici, l'identificazione tempestiva dei pazienti a rischio è
cruciale per una prevenzione efficace. Ciò può essere solo
in parte ottenuto dalla convenzionale stratificazione del rischio: fino
al 40% (70% nella popolazione più giovane) dei pazienti che sperimentano
un infarto non sarebbe stato classificato come "a rischio" dagli
algoritmi di uso comune Framingham e PROCAM. Studi istopatologici hanno
mostrato il ruolo della calcificazione coronarica come marker dei primi
stadi di aterosclerosi coronarica ed una correlazione diretta tra l'entità
della calcificazione e il grado di stenosi. Allo scopo di indagare il
ruolo predittivo per CHD della calcificazione coronarica, questo studio
ha esaminato 1726 pazienti asintomatici. L'Agatston score (che quantifica
la calcificazione) in pazienti infartuati o morti per cause cardiache
era significativamente più alto che nei soggetti senza eventi cardiaci
(458 vs 206). In coloro che non mostravano alcuna calcificazione coronarica
non sono stati riscontrati eventi.
[PREDICTIVE VALUE OF CORONARY CALCIFICATIONS FOR FUTURE
CARDIAC EVENTS IN ASYMPTOMATIC INDIVIDUALS. Am Heart J 2008; 155:154-60]
RISCHIO
DI INFARTO MIOCARDIOCO E ICTUS: AGGIORNAMENTO DEL PROCAM RISK SCORE
Sebbene il PROCAM risk score sia largamente usato in Europa, non può
essere applicato alle donne, né a uomini oltre i 65 anni; per questo
è stato sviluppato un algoritmo modificato per stimare il rischio
di eventi coronarici acuti e un nuovo sistema di punteggi per calcolare
il rischio di ictus ischemico o di attacco ischemico transitorio.
[ASSESSING RISK OF MYOCARDIAL INFARCTION AND STROKE:
NEW DATA FROM THE PROSPECTIVE CARDIOVASCULAR MÜNSTER (PROCAM) STUDY.
Eur J Clin Invest 2007; 37:925-32]
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EFFETTI
DELLA COMBINAZIONE ATTIVITÀ FISICA-CONSUMO DI ALCOL SULLA MORTALITÀ
PER ISCHEMIA CARDIACA E PER TUTTE LE CAUSE
Sebbene siano noti gli effetti individuali dell'attività fisica
e dell'assunzione di alcol sul rischio cardiovascolare, non è chiaro
se l'effetto di un fattore sia compensato dall'effetto dell'altro e se
abbiano lo stesso peso nel determinare il rischio. Questo studio di coorte
prospettico ha seguito 11.914 danesi per 20 anni; dai dati raccolti è
emersa un'associazione inversa tra attività fisica e ischemia cardiaca
e mortalità, mentre la relazione dell'alcol con la patologia aveva
la tipica forma a U (aumento del rischio per dosaggi molto bassi o molto
alti). L'analisi associata dei due fattori ha mostrato che i non bevitori
avevano il 30% in più di rischio di morte per malattia ischemica
rispetto ai bevitori moderati, ma questo incremento era annullato da una
regolare attività fisica; le persone fisicamente attive che bevevano
almeno un drink a settimana avevano un rischio inferiore del 50% rispetto
ai non bevitori sedentari.
[THE COMBINED INFLUENCE OF LEISURE-TIME PHYSICAL ACTIVITY
AND WEEKLY ALCOHOL INTAKE ON FATAL ISCHAEMIC HEART DISEASE AND ALL-CAUSE
MORTALITY. Eur Heart J, pubblicato on line il 9 gennaio 2008]
ATTIVITÀ
FISICA ED ETÀ BIOLOGICA
I telomeri sono sequenze ripetitive di Dna, situate all'estremità
dei cromosomi, che si accorciano con gli anni e non vengono riparate dai
meccanismi di revisione di cui è dotata la cellula. Questo studio
ha utilizzato i telomeri per valutare l'età biologica e ha studiato
la velocità di accorciamento delle sequenze in funzione della attività
fisica. Sono stati esaminati i Dna di 2401 coppie di gemelli e le lunghezze
dei loro telomeri; i soggetti arruolati hanno compilato schede e questionari
sul loro stile di vita, abitudine allo sport, fumo, dieta e molto altro.
Nelle coppie di gemelli, il fratello sedentario è biologicamente
più vecchio del fratello gemello che svolge una vita fisicamente
attiva. In media la differenza di lunghezza dei telomeri tra gli individui
più attivi (circa 3,5 ore di sport a settimana) e i meno attivi
(soli 16 minuti a settimana) è pari a 200 basi, che in termini
di anni significa dieci anni in meno per gli individui più attivi.
[THE ASSOCIATION BETWEEN PHYSICAL ACTIVITY IN LEISURE
TIME AND LEUKOCYTE TELOMERE LENGTH. Arch Intern Med 2008; 168:154-158]
FITNESS
E MORTALITÀ
Uno dei più ampi studi ad aver associato la capacità di
esercizio fisico al rischio di mortalità suggerisce che il rischio
di morte si riduce fino al 70% nei soggetti con le migliori condizioni
fisiche; questa evidenza era ugualmente riscontrata in soggetti di razza
bianca e di razza nera.
[EXERCISE CAPACITY AND MORTALITY IN BLACK AND WHITE
MEN. Circulation, pubblicato on line il 22 gennaio 2008]
ATTIVITÀ
FISICA E DIMINUZIONE DEL RISCHIO DI EVENTI CARDIOVASCOLARI
Da un'ampia ricerca epidemiologica, che ha indagato i meccanismi di riduzione
del rischio cardiovascolare correlati all'attività fisica, emerge
il peso rilevante che esercizio fisico ha nel modificare fattori infiammatori
e di emostasi, importanti nella determinazione del danno cardiovascolare.
[PHYSICAL ACTIVITY AND REDUCED RISK OF CARDIOVASCULAR
EVENTS. POTENTIAL MEDIATING MECHANISMS. Circulation 2007; 116: 2110-2118]
ESERCIZIO
FISICO E SINDROME METABOLICA
Per gli individui sovrappeso od obesi che non fanno attività fisica,
passeggiare a passo sostenuto può costituire il miglior esercizio
per ridurre l'eccesso di peso corporeo e di conseguenza il rischio di
sindrome metabolica.
[EXERCISE TRAINING AMOUNT AND INTENSITY ON METABOLIC
SYNDROME (FROM STUDIES OF A TARGETED RISK REDUCTION INTERVENTION THROUGH
DEFINED EXERCISE). Am J Cardiol 2007; 100:1759-1766]
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ANNO
DI NASCITA, ETA' E FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARI
La cosiddetta life course epidemiology (letteralmente "epidemiologia
della vita") incorpora l'influenza di diversi fattori (politici,
socio-economici, biologici, comportamentali) nella valutazione della salute
o del rischio di malattia durante le varie fasi della vita. In questo
modo è possibile studiare cambiamenti come il miglioramento o il
peggioramento degli standard di vita nel tempo e tra coorti diverse. Con
tale approccio, questo studio ha voluto verificare che differenti condizioni
di vita ad età diverse possono portare a profili differenti dei
fattori di rischio cardiovascolari ed ha analizzato 4 coorti di nascita,
cioè gruppi di soggetti nati negli stessi anni: 1925-1934, 1935-1939,
1940-1944, 1945-1952 (9953 soggetti in totale).
Se si considerano fattori relativi allo stile di vita come l'abitudine
al fumo, il consumo di alcol, l'IMC e l'attività fisica, le coorti
giovani mostravano un profilo meno favorevole delle coorti anziane, oltre
ad una maggiore tendenza a sviluppare diabete prima dei 50 anni. Queste
evidenze indicano un sostanziale aumento delle prevalenze dei fattori
di rischio, con conseguenze sulla morbidità cardiovascolare.
[CHANGES OF CARDIOVASCULAR RISK FACTORS AND THEIR IMPLICATIONS
IN SUBSEQUENT BIRTH COHORTS OF OLDER ADULTS IN GERMANY: A LIFE COURSE
APPROACH. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 2007; 14:809-814]
QUALITÀ
NELLA CURA DEL DIABETE E RISCHIO DI CVD
Lo studio QuED è stato disegnato allo scopo di valutare la relazione
tra la qualità della cura (terapia e assistenza) in pazienti con
diabete di tipo 2 e gli outcome a lungo termine. È stato
predisposto un quality score che assegna punteggi in relazione
agli esiti intermedi (indicativi dello stato di salute del paziente risultante
dalle cure fornite) e ai parametri di processo (indicativi delle azioni
messe in atto per curare e seguire il paziente). Sono stati arruolati
3235 soggetti diabetici e per ciascuno è stato calcolato un punteggio
indicativo della qualità della cura. Il tasso di incidenza CV nei
5 anni di follow-up era 62,4 per punteggi<9; 54,8 per punteggi compresi
tra 15 e 20 e 39,8 per punteggi >=20; una differenza di 5 punti era
associata ad una differenza del 16% nel rischio cardiovascolare. I risultati
documentano per la prima volta che un semplice quality score, basato
su indicatori facilmente misurabili, rappresenta un forte predittore di
eventi cardiovascolari maggiori.
[QUALITY OF DIABETES CARE PREDICTS THE DEVELOPMENT OF
CARDIOVASCULAR EVENTS: RESULTS OF THE QUED STUDY. Nutr Metab Cardiovasc
Dis 2008; 18:57-65]
CARENZA
DI VITAMINA D E RISCHIO DI CVD
Studi clinici hanno riportato associazioni tra bassi livelli di vitamina
D e attività reninica plasmatica, pressione arteriosa, calcificazione
coronarica e prevalenza di malattie cardiovascolari. Inoltre, studi ecologici
hanno riportato tassi crescenti di patologia coronarica e di ipertensione
all'aumentare della latitudine, parallelamente alla maggior prevalenza
di carenza di vitamina D in regioni con minor esposizione solare. I risultati
di studi su base clinica od ospedaliera possono essere distorti a causa
dell'influenza dell'esposizione al sole e della dieta sulla malattia.
Questo studio ha analizzato 1739 soggetti del Framingham Heart Study
(campione su base di comunità) senza CVD al basale. Il rischio
di eventi CV era maggiore in soggetti con bassi livelli di vitamina D
(25-OH D <15 ng/mL); tra questi, gli ipertesi mostravano un rischio
doppio. I risultati sono stati confermati anche dopo aggiustamento per
proteina C-reattiva, attività fisica e assunzione di integratori
vitaminici.
[VITAMIN D DEFICIENCY AND RISK OF CARDIOVASCULAR DISEASE.
Circulation, pubblicato on line il 7 gennaio 2008]
BASSE
CONCENTRAZIONI DI VITAMINA D E PRESSIONE ARTERIOSA
Anche dopo aver tenuto conto di fattori come età, sesso, razza
e attività fisica dei pazienti è chiaramente emerso che
le persone con livelli più bassi di vitamina D erano anche quelle
con valori della pressione più alti: il collegamento risultava
ancor più evidente per i soggetti di 50 anni o più.
[SERUM 25-HYDROXYVITAMIN D, ETHNICITY, AND BLOOD PRESSURE
IN THE THIRD NATIONAL HEALTH AND NUTRITION EXAMINATION SURVEY. Am J Hyperten
2007; 20:713-719]
FATTORI
DI RISCHIO CARDIOVASCOLARI E TROMBOEMBOLISMO VENOSO
Una meta-analisi su un ampio numero di soggetti ha mostrato una correlazione
significativa tra alcuni fattori di rischio, tra cui obesità, ipertensione,
diabete, abitudine al fumo e dislipidemia, e lo sviluppo di tromboembolismo
venoso.
[CARDIOVASCULAR RISK FACTORS AND VENOUS THROMBOEMBOLISM:
A META-ANALYSIS. Circulation 2008; 117: 93-102]
SINDROME
DELLE GAMBE SENZA RIPOSO E PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE
Un nuovo studio ha riportato un'associazione tra la sindrome delle gambe
senza riposo e un aumento significativo del rischio di patologia cardiovascolare
e cerebrovascolare.
[ASSOCIATION OF RESTLESS LEGS SYNDROME AND CARDIOVASCULAR
DISEASE IN THE SLEEP HEART HEALTH STUDY. Neurology 2008; 70:35-42]
LIVELLI
DI PCR E FUTURA PATOLOGIA RENALE IN SOGGETTI SOVRAPPESO OD OBESI SENZA
DIABETE MELLITO NÉ IPERTENSIONE
La debole associazione positiva riscontrata tra proteina C-reattiva e
clearance della creatinina ed escrezione urinaria di albumina può
indicare alterazioni della funzionalità renale indotte dall'infiammazione
subclinica all'aumentare dell'indice di massa corporea.
[THE PREDICTIVE VALUE OF CRP LEVELS ON FUTURE SEVERE
RENAL DISEASE IN OVERWEIGHT AND OBESE SUBJECTS WITHOUT DIABETES MELLITUS
AND HYPERTENSION. Am J Med Sci 2007; 334:444-451]
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INDICE
DI MASSA CORPOREA E INCIDENZA DI CANCRO E MORTALITÀ NELLE DONNE
Nonostante sia nota l'associazione positiva tra indice di massa corporea
(IMC) e alcuni tipi di tumori (cancro del colon, dell'endometrio, del
rene, adenocarcinoma esofageo, cancro al seno in menopausa), è
meno certo il ruolo nello sviluppo di altri tumori meno comuni. Inoltre,
l'IMC potrebbe influenzare non solo tale sviluppo, ma anche il conseguente
rischio di morte. Per indagare queste ipotesi, lo studio ha arruolato
1,2 milioni di donne britanniche, seguendole in media per 5,4 e 7,0 anni
per rilevare rispettivamente l'incidenza di cancro e la mortalità.
I dati raccolti hanno confermato l'associazione già nota tra IMC
e alcuni tumori: questa era presente per 10 dei 17 tipi di cancro analizzati.
Nelle donne in post-menopausa, il 5% dei tumori era attribuibile alla
condizione di sovrappeso o di obesità.
[CANCER INCIDENCE AND MORTALITY IN RELATION TO BODY
MASS INDEX IN THE MILLION WOMEN STUDY: COHORT STUDY. BMJ 2007; 335:1134]
CIRCONFERENZA
VITA, DIABETE E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Lo studio aveva l'obiettivo di determinare se la misurazione della circonferenza
vita, in aggiunta ai tradizionali fattori di rischio, facilitasse la predizione
di diabete ed eventi cardiovascolari. A tale scopo, sono stati esaminati
5.882 adulti dal National Health and Nutrition Examination Survey
nel periodo 1999-2004. Il principale risultato era che la circonferenza
vita rappresentava un predittore indipendente di diabete, mentre la correlazione
tra questo parametro e gli eventi CV non era significativa dopo aggiustamento
per gli altri fattori di rischio. Anche i dati pubblicati nel report da
"Obesity in Asia Collaboration", ottenuti analizzando
i risultati di 18 studi di popolazione (155.122 soggetti) sulla capacità
di diversi indici di sovrappeso di determinare il rischio d'insorgenza
di diabete di tipo 2 e di patologie cardiovascolari, mostrano che la circonferenza
vita, se misurata correttamente, è il parametro più accurato
e con il maggior potere predittivo.
[DOES WAIST CIRCUMFERENCE PREDICT DIABETES AND CARDIOVASCULAR
DISEASE BEYOND COMMONLY EVALUATED CARDIOMETABOLIC RISK FACTORS. Diabetes
Care. 2007; 30:3105-9. - WAIST CIRCUMFERENCE
THRESHOLDS PROVIDE AN ACCURATE AND WIDELY APPLICABLE METHOD FOR THE DISCRIMINATION
OF DIABETES. Diabetes Care. 2007; 30:3116-8]
ALIMENTAZIONE
E SINDROME METABOLICA
Sebbene l'assunzione di alcuni alimenti sia stata correlata ai singoli
determinanti della sindrome metabolica (SM), il ruolo della dieta nello
sviluppo di questa condizione non è noto e i dati in letteratura
sono contrastanti. Studi trasversali hanno mostrato che un'alta prevalenza
di SM è riscontrabile in consumatori della "dieta occidentale",
ma l'associazione non è stata ancora accertata. Questo studio ha
voluto valutare il rischio di sviluppare sindrome metabolica conferito
dall'alimentazione in 9514 soggetti arruolati nello studio ARIC (Atherosclerosis
Risk in Communities). L'analisi dei gruppi di alimenti ha rivelato
che la carne e i cibi fritti erano associati all'aumento dell'incidenza
di sindrome metabolica, mentre il consumo di latticini sembrava avere
un effetto benefico; non sono state osservate associazioni tra lo sviluppo
di SM e consumo di cereali, frutta, verdura, caffé o bevande zuccherate.
[DIETARY INTAKE AND THE DEVELOPMENT OF THE METABOLIC
SYNDROME. Circulation, pubblicato on line il 22 gennaio 2008]
SINDROME
METABOLICA E RISCHIO DI ICTUS ISCHEMICO
In questo studio di coorte è stata riscontrata un'associazione
significativa tra la sindrome metabolica e il rischio di ictus ischemico,
indipendentemente da fattori confondenti quali età, grado di istruzione,
attività fisica, consumo di alcolici e abitudine al fumo.
[METABOLIC SYNDROME AND ISCHEMIC STROKE RISK: NORTHERN
MANHATTAN STUDY. Stroke 2008; 39:30-35]
MARKER
DI POTENZIALE ATEROSCLEROSI E RISCHIO DI CHD IN PAZIENTI DIABETICI O CON
SINDROME METABOLICA
I risultati di questo studio confermano che tra i pazienti italiani con
diabete di tipo 2 la prevalenza di sindrome metabolica può arrivare
al 70%; inoltre la diagnosi di sindrome metabolica sembra conferire a
questi soggetti un rischio CV supplementare.
[NON-TRADITIONAL MARKERS OF ATHEROSCLEROSIS POTENTIATE
THE RISK OF CORONARY HEART DISEASE IN PATIENTS WITH TYPE 2 DIABETES AND
METABOLIC SYNDROME. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2008; 18:31-8]
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ANSIETÀ
E RISCHIO DI INFARTO MIOCARDICO ACUTO
La arteriopatia coronarica è stata correlata ad alcune variabili
psicologiche, come la depressione, l'ansietà o la rabbia. Gli studi
finora condotti non hanno però chiarito se l'effetto di tali fattori
sia specifico oppure dovuto al complesso stato psicologico ed emotivo
che contribuiscono a creare. In particolare, pochi sono i dati relativi
all'associazione tra ansietà e coronaropatia. Questo studio ha
analizzato 735 soggetti anziani senza CHD pregressa allo scopo di esaminare
il rischio di infarto conferito dall'ansietà e di controllare se
l'eventuale associazione potesse essere spiegata da altri fattori psicologici.
I dati hanno mostrato che l'ansietà conferisce un rischio relativo
più alto; inoltre lo stato d'ansia potrebbe essere responsabile
dell'associazione tra infarto miocardico e altri fattori di rischio psicologici
osservata in altri studi.
[ANXIETY CHARACTERISTICS INDEPENDENTLY AND PROSPECTIVELY
PREDICT MYOCARDIAL INFARCTION IN MEN. THE UNIQUE CONTRIBUTION OF ANXIETY
AMONG PSYCHOLOGIC FACTORS. J Am Coll Cardiol 2008; 51:113-119]
AUTOSTIMA
E RISCHIO DI OBESITÀ NELLE ADOLESCENTI
Ci sono evidenze che fattori sociali ed emozionali come la depressione
o una bassa autostima contribuiscono allo sviluppo di obesità tra
gli adolescenti. Questa analisi ha valutato la percezione soggettiva di
5723 adolescenti attraverso la posizione indicata dalle ragazze su una
scala gerarchica che rappresentava la comunità scolastica; questo
valore è stato associato all'indice di massa corporea. Le adolescenti
che si indicavano nella posizione più bassa mostravano il 69% in
più di possibilità di sviluppare a 2 anni un IMC superiore
di due unità. Questo studio contribuisce ad ampliare la letteratura
scientifica su questa problematica e a sensibilizzare gli operatori sanitari
sull'importanza di alcuni fattori psicologici nel determinare il rischio
di obesità.
[SUBJECTIVE SOCIAL STATUS IN THE SCHOOL AND CHANGE IN
ADIPOSITY IN FEMALE ADOLESCENTS: FINDINGS FROM A PROSPECTIVE COHORT STUDY.
Arch Pediatr Adolesc Med 2008; 162:23-8]
DEPRESSIONE
E ANSIETÀ E RISCHIO DI EVENTI CARDIACI IN PAZIENTI CON CORONAROPATIA
Un nuovo studio conferma che pazienti con coronaropatia stabile e diagnosi
di depressione o ansietà hanno un rischio più alto di eventi
cardiaci.
[DEPRESSION AND ANXIETY AS PREDICTORS OF 2-YEAR CARDIAC
EVENTS IN PATIENTS WITH STABLE CORONARY ARTERY DISEASE. Arch Gen Psychiatry
2008; 65:62-71]
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FATTORI
DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEI SOGGETTI CON ARTRITE REUMATOIDE
Alcuni fattori di rischio CV tradizionali possono pesare diversamente
tra pazienti con artrite reumatoide (AR) e soggetti non malati. Per verificare
questa ipotesi, è stata esaminata prospetticamente una coorte su
base di popolazione e la frequenza di alcuni fattori di rischio CV è
stata confrontata tra pazienti AR (603) e pazienti non AR (603). Le prevalenze
al basale erano simili nei due gruppi, ma il sesso, l'abitudine al fumo
e la storia cardiaca personale aumentavano il rischio CV in misura minore
nei soggetti AR. Questa differenza suggerisce l'esistenza di meccanismi,
non ancora chiari, che concorrerebbero a promuovere lo sviluppo di patologie
cardiovascolari nei pazienti con artrite reumatoide, perciò le
strategie di prevenzione basate essenzialmente sul controllo dei tradizionali
fattori di rischio non avrebbero in tali soggetti la stessa efficacia
che nella popolazione generale.
[CARDIOVASCULAR RISK FACTORS DIFFER IN MAGNITUDE IN
RHEUMATOID ARTHRITIS PATIENTS. Ann Rheum Dis 2008; 67:64-69]
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