FARMACOEPIDEMIOLOGIA
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GLAUCOMA
AD ANGOLO APERTO E MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE
Per valutare la relazione tra il glaucoma ad angolo aperto (OAG) e
la mortalità sono stati esaminati più di 4000 soggetti,
con in media 58 anni di età, tra il 1987 e il 1992 e seguiti per
un follow up di 9 anni. Dopo aggiustamento per multivariate, OAG non era
associato alla mortalità, né totale né cardiovascolare.
Il rischio di morte, tuttavia, era significativamente più alto
in pazienti con OAG diagnosticato e trattato: la terapia con timololo
maleato era particolarmente problematica e l'uso di beta-bloccanti era
associato ad un rischio di morte più alto del 70% e ad un aumento
del 91% nel rischio di mortalità CV. I dati di questo studio suggeriscono
quindi che l'esistenza di un maggior rischio di morte totale e cardiovascolare
tra pazienti neri con diagnosi di OAG trattato farmacologicamente. L'eccesso
di mortalità associata all'uso di timololo maleato per la cura
di OAG, riscontrato anche nella popolazione bianca, necessita ulteriori
indagini.
[OPEN-ANGLE GLAUCOMA AND MORTALITY: THE BARBADOS EYE STUDIES. Arch Ophthalmol
2008; 126:365-370]
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EPIDEMIOLOGIA
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MODIFICAZIONI
DEI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE E INCIDENZA DI INFARTO NEL REGNO
UNITO
Le
malattie cardiovascolari, specie quelle coronariche, sono la principale
causa di morte nel Regno Unito; tuttavia, i tassi di morte per CAD sono
sensibilmente diminuiti negli ultimi anni (del 44% tra il 1994 e il 2004).
Studi precedenti hanno suggerito che tale riduzione riflette prevalentemente
la minor incidenza di CHD nella popolazione, conseguente ai cambiamenti
nei fattori di rischio, piuttosto che al miglioramento della sopravvivenza
dei pazienti con la patologia. Scopo di questa analisi era indagare i
trend recenti di incidenza di infarto miocardico ed esaminare quanto la
variazione dei fattori di rischio è responsabile della riduzione
dell'incidenza. Sono stati usati i dati del British Regional Heart
Study su un periodo di 25 anni. L'hazard ratio di IM, aggiustato
per età, era più che dimezzato. Il 46% di tale riduzione
poteva essere spiegata da una combinazione dei cambiamenti dei fattori
di rischio nel tempo: riduzione del numero di fumatori, diminuzione della
pressione sistolica media, aumento del colesterolo HDL e diminuzione del
colesterolo non-HDL medi. L'attività fisica e il consumo di alcol
avevano un impatto relativamente piccolo.
[HOW MUCH OF THE RECENT DECLINE IN THE INCIDENCE OF MYOCARDIAL INFARCTION
IN BRITISH MEN CAN BE EXPLAINED BY CHANGES IN CARDIOVASCULAR RISK FACTORS?
EVIDENCE FROM A PROSPECTIVE POPULATION-BASED STUDY. Circulation 2008;
117:598-604]
VARIAZIONI DELLA DISTRIBUZIONE
DELL'IMC E DELLA CIRCONFERENZA VITA IN ADULTI INGLESI DAL 1993/94 AL 2002/03
Il
peso della popolazione è in costante crescita e la prevalenza di
obesità è più che raddoppiata dal 1980 in Gran Bretagna.
Questo trend può avere risvolti ancor più preoccupanti se
l'aumento dell'adiposità è concentrato nei soggetti con
peso più alto. Sono state perciò esaminate le variazioni
nella distribuzione dell'indice di massa corporea e della circonferenza
vita in inglesi adulti, in un periodo di 10 anni dal 1993/94 al 2002/03
usando i dati dall'Health Surveys for England. I risultati indicavano
che l'aumento nell'adiposità non eraomogeneamente distribuito nella
popolazione; tuttavia, le diversità non erano correlate alle caratteristiche
demografiche, bensì al peso. Gli adulti magri (sotto il 25°
percentile) nel 2002/03 erano magri all'incirca quanto i loro omologhi
dieci anni prima e i soggetti al centro della distribuzione (25°-75°
percentile) avevano 1 punto in più di IMC (circa 3 Kg). Tuttavia,
i soggetti al 90° percentile pesavano mediamente 6 Kg in più.
Questi risultati si riflettevano nell'aumento della proporzione di obesi
o con IMC maggiore di 35 o 40.
[CHANGES IN THE DISTRIBUTIONS OF BODY MASS INDEX AND WAIST CIRCUMFERENCE
IN ENGLISH ADULTS, 1993/1994 TO 2002/2003. Int J Obes 2008; 32:527-532]
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SINDROME
METABOLICA ED EVENTI CV IN SOGGETTI CON GLICEMIA A DIGIUNO NELLA NORMA
Sono
pochi i dati epidemiologici disponibili sulla prevalenza di sindrome metabolica
in Europa, ancora meno nelle popolazioni mediterranee, dove obesità
e sovrappeso hanno un forte impatto sulla morbilità cardiovascolare.
Questo studio ha valutato il rischio CV connesso alla sindrome metabolica
analizzando una popolazione siciliana di 687 soggetti tra 35 e 75 anni
e registrando gli eventi CV in 15 anni di follow up. La sindrome metabolica,
definita dai criteri ATPIII, aumentava il rischio di eventi CV con un
odds ratio di 1,9; tra i soggetti affetti la curva di sopravvivenza
era simile per quelli con glicemia nella norma e per quelli con alterata
glicemia a digiuno. In questo studio la sindrome metabolica è quindi
risultata predittiva di eventi CV indipendentemente dalla presenza di
alterata omeostasi glicemica o di diabete.
[THE METABOLIC SYNDROME PREDICTS CARDIOVASCULAR EVENTS IN SUBJECTS WITH
NORMAL FASTING GLUCOSE: RESULTS OF A 15 YEARS FOLLOW-UP IN A MEDITERRANEAN
POPULATION. Atherosclerosis 2008; 197:147-153]
SINDROME
METABOLICA E RISK SCORE CARDIOVASCOLARE NELLA SINDROME CORONARICA ACUTA
PREMATURA
La
sindrome metabolica è associata ad un rischio doppio o quadruplo
di eventi cardiovascolari, anche se in alcuni studi è risultata
meno efficace del Framingham Risk Score nella predizione del rischio
di patologia coronarica; per contro, è stato riportato che, in
soggetti giovani precocemente colpiti da infarto miocardico, l'algoritmo
di Framingham sembra sottostimare il rischio CV. In questo studio caso-controllo
è stata esaminata la relazione tra sindrome metabolica e rischio
di patologia coronarica in soggetti con meno di 45 anni, confrontandola
con il rischio definito dalla funzione Framingham. Nei 400 pazienti analizzati,
il rischio Framingham >=20% era riscontrato solo nel 22,5% dei casi
rispetto al 14,5% dei controlli, mentre la presenza di 4-5 determinanti
di sindrome metabolica era rilevata rispettivamente nel 37,8% e nel 26,9%
dei soggetti. Ciò indica che un approccio multifattoriale comprendente
la diagnosi di sindrome metabolica dovrebbe essere raccomandato nella
prevenzione di patologie coronariche, anche in pazienti con un rischio
Framingham basso o moderato.
[THE RELATIVE VALUE OF METABOLIC SYNDROME AND CARDIOVASCULAR RISK SCORE
ESTIMATES IN PREMATURE ACUTE CORONARY SYNDROMES. Am Heart J 2008; 155:534-540]
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HDL,
APO A-I E RISCHIO CORONARICO
Molti
dati epidemiologici hanno dimostrato in modo convincente l'esistenza di
una relazione inversa tra colesterolo HDL e rischio di patologia coronarica
(CAD) e alcuni studi hanno suggerito un ruolo predominante dell'apolipoproteina
A-I (apoA-I). Tuttavia, evidenze recenti sembrano indicare che questa
relazione non sia verificata per concentrazioni molto alte. L'obiettivo
di questo studio era valutare la relazione tra livelli e dimensioni particellari
del C-HDL e dell'apoA-I e rischio di CAD usando i dati dell'IDEAL
trial (n=8.888) e di uno studio prospettico caso-controllo (858 casi,
1.491 controlli) innestato nella coorte EPIC-Norfolk. Dopo aggiustamento
per apoA-I e apoB, le concentrazioni e le dimensioni particellari del
C-HDL erano significativamente correlate all'occorrenza di eventi CV maggiori.
Il rischio era particolarmente alto al limite superiore della distribuzione;
al contrario, apoA-I mostrava un'associazione negativa per lo più
costante.
[HIGH-DENSITY LIPOPROTEIN CHOLESTEROL, HIGH-DENSITY LIPOPROTEIN PARTICLE
SIZE, AND APOLIPOPROTEIN A-I: SIGNIFICANCE FOR CARDIOVASCULAR RISK IN
THE IDEAL AND EPIC-NORFOLK STUDIES. J Am Coll Cardiol 2008; 51:634-42]
FATTORI
DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DI SINDROME CORONARICA ACUTA
Uno
studio caso-controllo attuato in Grecia ha analizzato 848 pazienti ospedalizzati
per prima occorrenza di sindrome coronarica acuta (ACS) e 1078 controlli
appaiati per sesso, età e regione di provenienza. Dalle analisi
è emerso che le caratteristiche relative allo stile di vita, così
come alcuni parametri misurati in laboratorio, sembrano essere in parte
responsabili del differente profilo dei fattori di rischio dell'ACS tra
i due sessi. È stata anche osservata un'associazione inversa indipendente
tra un moderato consumo di pesce (150-300 g a settimana) e il rischio
di sviluppare la sindrome coronarica. Nello stesso campione stratificato
per ipertensione (presente ma non nota, non trattata e trattata ma non
controllata, trattata e controllata), l'attività fisica mostrava
di ridurre il rischio coronarico (rispettivamente del 7%, 13% e 21%).
Un'analisi simile condotta su pazienti diabetici (216 ricoverati per ASC
e 196 controlli, arruolati nello studio CARDIO2000 II) ha osservato
la medesima associazione tra attività fisica moderata e riduzione
del rischio coronarico.
[SEX DIFFERENCES IN CARDIOVASCULAR RISK FACTORS AND THE IMPACT OF SEX
ON THE OCCURRENCE OF AN ACUTE CORONARY EVENT. A CASE-CONTROL STUDY. Eur
J Cardiovasc Nurs 2008; 7:S12-S13]; [FISH CONSUMPTION AND THE RISK OF
DEVELOPING ACUTE CORONARY SYNDROMES: A CASE-CONTROL STUDY. Eur J Cardiovasc
Nurs 2008; 7:S11-S12]; [THE IMPACT OF PHYSICAL ACTIVITY ON THE RISK OF
DEVELOPMENT AN ACUTE CORONARY SYNDROME, IN HYPERTENSIVE SUBJECTS. Eur
J Cardiovasc Nurs 2008; 7:S13]; [THE ROLE OF PHYSICAL ACTIVITY ON THE
DEVELOPMENT OF ACUTE CORONARY SYNDROMES IN DIABETIC PATIENTS. A CASE-CONTROL
STUDY. Eur J Cardiovasc Nurs 2008; 7:S12]
DILATAZIONE
FLUSSO-MEDIATA DELLE ARTERIE BRACHIALI E FATTORI DI RISCHIO CARDIACI IN
DONNE IN MENOPAUSA
Studi
epidemiologici prospettici hanno accertato l'associazione tra alcuni fattori
di rischio (età, fumo, ipercolesterolemia, diabete, ipertensione)
e sviluppo di eventi cardiovascolari. Tuttavia, è stato stimato
che questi fattori spiegano solo il 50% della morbilità e mortalità
CV. Una delle strategie di screening proposte per identificare i pazienti
a rischio si basa sulla misurazione non invasiva della dilatazione flusso-mediata
(FMD) nell'arteria brachiale. Scopo di questo studio era esaminare l'associazione
tra FDM ed eventi CV in una coorte di donne in post-menopausa inizialmente
asintomatiche, aggiustando per i principali fattori di rischio CV. Dai
risultati emerge il ruolo di FDM come determinante indipendente del rischio
e la possibilità di utilizzare questa misurazione per ottenere
informazioni prognostiche ulteriori a quelle fornite dai fattori di rischio
tradizionali.
[PROGNOSTIC ROLE OF FLOW-MEDIATED DILATION AND CARDIAC RISK FACTORS IN
POST-MENOPAUSAL WOMEN. J Am Coll Cardiol 2008; 51:997-1002]
MASSA
VENTRICOLARE SINISTRA E INSUFFICIENZA CARDIACA
Tra
le manifestazioni cliniche delle patologie cardiovascolari attribuibili
ai fattori di rischio CV, l'insufficienza cardiaca ha una rilevanza sostanziale
dovuta all'incidenza in aumento, sia per la riduzione della mortalità
per infarto miocardico che per l'invecchiamento della popolazione. Quest'ultimo
fattore è importante perchè lo sviluppo dell'insufficienza
è differente se inserita nel contesto dell'infarto o di altre condizioni
non ischemiche più facilmente presenti nella popolazione anziana.
Informazioni aggiuntive sul profilo di rischio CV ottenute da marker pre-clinici
di CVD come la massa ventricolare sinistra possono aiutare a stratificare
il rischio di sviluppare la patologia. Per valutare la relazione tra ipertrofia
ventricolare sinistra e incidenza di insufficienza cardiaca non conseguente
all'infarto è stata analizzata una coorte del Cardiovascular
Health Study (CHS) composta da 2078 soggetti di 65-100 anni.
In questa popolazione anziana gli indici relativi alla massa ventricolare
sinistra erano predittori indipendenti di insufficienza cardiaca.
[LEFT VENTRICULAR MASS PREDICTS HEART FAILURE NOT RELATED TO PREVIOUS
MYOCARDIAL INFARCTION: THE CARDIOVASCULAR HEALTH STUDY . Eur Heart J 2008;
29:741-747]
GRASSO
EPICARDICO PERICORONARICO E CALCIFICAZIONE VASCOLARE
Il
tessuto adiposo epicardico (EAT) è uno strato di grasso viscerale
tra miocardio e pericardio che circonda le arterie coronariche. Recenti
evidenze hanno suggerito che possa essere coinvolto nei fenomeni infiammatori
che portano alla calcificazione dei vasi e che contribuiscono al processo
di aterosclerosi. Per analizzare la relazione tra EAT pericoronarico e
calcificazione coronarica è stata studiata una coorte di 573 donne
sane in post-menopausa. Con lo stesso obiettivo è stato condotto
un altro studio su 1155 soggetti sani arruolati nel Framingham Heart
Study. In entrambi gli studi, l'EAT era correlato a molti fattori
di rischio vascolare, ma alcune associazioni si attenuavano dopo correzione
per la circonferenza vita, suggerendo una stretta relazione tra EAT e
adiposità addominale. Inoltre, l'EAT era correlato alla calcificazione
coronarica, sostenendo l'ipotesi di un ruolo nello sviluppo di aterosclerosi.
[PERI-CORONARY EPICARDIAL ADIPOSE TISSUE IS RELATED TO CARDIOVASCULAR
RISK FACTORS AND CORONARY ARTERY CALCIFICATION IN POST-MENOPAUSAL WOMEN
. Eur Heart J 2008; 29:777-783]; [PERICARDIAL FAT, VISCERAL ABDOMINAL
FAT, CARDIOVASCULAR DISEASE RISK FACTORS, AND VASCULAR CALCIFICATION IN
A COMMUNITY-BASED SAMPLE: THE FRAMINGHAM HEART STUDY. Circulation 2008;
117:605-13]
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POLIMORFISMI
E RISCHIO DI EVENTI CARDIOVASCOLARI
Sono
stati analizzati i dati di 5.414 adulti svedesi, partecipanti al Malmö
Diet and Cancer Study. Inizialmente è stata validata l'associazione
tra 9 varianti geniche note per il loro ruolo nella modulazione dei livelli
di colesterolo totale e colesterolo LDL o HDL e poi è stato creato
uno score genotipico, con un punteggio da 0 a 18, basato sul numero
di alleli sfavorevoli portati dai pazienti. All'aumentare del punteggio,
i livelli di C-LDL crescevano da 152 mg/dL a 171 mg/dL, mentre diminuivano
quelli di C-HDL. Registrando gli eventi CV in un follow-up medio di 10,6
anni, è emersa un'associazione tra score genotipico e patologie
cardiovascolari incidenti. Sebbene il sistema di punteggio non potenzi
la discriminazione del rischio nella coorte generale, migliora la riclassificazione
dei soggetti considerati a rischio moderato: il 26% dei soggetti in questa
classe, dopo il calcolo dello score genotipico, vengono assegnati
alle classi di alto o di basso rischio.
[POLYMORPHISMS ASSOCIATED WITH CHOLESTEROL AND RISK OF CARDIOVASCULAR
EVENTS. N Engl J Med 2008 ; 358:1240-9]
DISTURBI
RESPIRATORI NEL SONNO E RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Molti
studi hanno riportato che i disturbi respiratori nel sonno sono indipendentemente
associati alle manifestazioni cliniche delle patologie cardiovascolari,
tra cui coronaropatie, ictus e insufficienza cardiaca. Per valutarne il
possibile effetto sull'aterosclerosi subclinica, sono state esaminate
le associazioni con la presenza di placche carotidee e l'ispessimento
dell'intima media carotidea. In un campione basato sulla comunità
di 985 uomini e donne di mezza età, i disturbi respiratori nel
sonno erano positivamente associati ad entrambi gli indici di aterosclerosi
carotidea. Tuttavia, dopo aggiustamento per i fattori di rischio CV, non
sono state riscontate evidenze di associazioni significative. Un altro
studio ha valutato il significato prognostico dell'apnea notturna sulla
mortalità a lungo termine dopo ictus, seguendo prospetticamente
per 10 anni 132 pazienti ospedalizzati per l'evento. I soggetti con apnea
ostruttiva notturna avevano un rischio di morte più alto del 75%,
indipendentemente da alcuni fattori di rischio tra cui età, sesso,
fumo, IMC, ipertensione, diabete mellito.
[RELATION OF SLEEP-DISORDERED BREATHING TO CAROTID PLAQUE AND INTIMA-MEDIA
THICKNESS. Atherosclerosis 2008; 197:125-131]; [OBSTRUCTIVE SLEEP APNEA
IS A RISK FACTOR FOR DEATH IN PATIENTS WITH STROKE: A 10-YEAR FOLLOW-UP.
Arch Intern Med 2008; 168:297-301]
CONSUMO
MODERATO DI ALCOLICI IN MEZZA ETÀ ED EVENTI CARDIOVASCOLARI
Molti
studi epidemiologici hanno concluso che l'assunzione moderata di alcol
è associata ad un ridotto rischio cardiovascolare, ma rimane controverso
se questi risultati debbano essere usati per modificare le raccomandazioni
sanitarie che promuovono il consumo di alcol in soggetti astemi. Per analizzare
l'impatto dell'inizio di un consumo moderato di alcol in uomini e donne
di mezza età sullo sviluppo di patologie cardiovascolari, sono
stati analizzati 7697 partecipanti dell'Atherosclerosis Risk in Communities
(ARIC) Study e seguiti per 4 anni. I risultati hanno mostrato
che i nuovi bevitori hanno il 38% in meno di possibilità di sviluppare
malattie cardiovascolari rispetto a soggetti astemi e la differenza persiste
dopo aggiustamento per fattori demografici e di rischio CV. Non si evidenziavano
tuttavia differenze nella mortalità per tutte le cause. I nuovi
bevitori mostravano inoltre un modesto miglioramento nei livelli di HDL
e nessun effetto negativo sui valori pressori.
[ADOPTING MODERATE ALCOHOL CONSUMPTION IN MIDDLE AGE: SUBSEQUENT CARDIOVASCULAR
EVENTS. Am J Med 2008; 121:201-236]
DIFFERENZE
DI ETÀ E SESSO NELL'IMPATTO DEL DIABETE E NELLA PREVALENZA DI PATOLOGIA
ISCHEMICA
E'
ben noto che le donne hanno generalmente un rischio più basso degli
uomini di sviluppare le patologie ischemiche cardiache. Tuttavia, il diabete
mellito sembra ridurre o persino annullare la relativa protezione conferita
dal sesso femminile. La dimensione delle differenze di sesso varia tra
gli studi. Scopo di questa analisi era esplorare le differenze di età
e sesso nell'impatto del diabete sulla prevalenza di patologia ischemica
usando informazioni su 415.000 soggetti, ricavate da un registro di popolazione.
Per ciascun sesso, il rapporto delle prevalenze di ischemie cardiache
tra diabetici e non diabetici era più alta nei giovani; in ogni
classe d'età, il rapporto era più alto per le donne che
per gli uomini e tra quelle con 45-54 anni si riscontrava la maggior differenza
di prevalenza di patologia ischemica.
[AGE AND GENDER DIFFERENCES IN THE IMPACT OF DIABETES ON THE PREVALENCE
OF ISCHEMIC HEART DISEASE: A POPULATION-BASED REGISTER STUDY. Diabetes
Res Clin Pract. 2008; 79:497-502]
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BIOMARKER
DI INFIAMMAZIONE E MORTALITÀ VASCOLARE E NON VASCOLARE
Il
processo di aterosclerosi coinvolge una componente infiammatoria cronica,
comprendente l'interazione di meccanismi immunitari con fattori di rischio
metabolici e che si manifesta come eventi cardiovascolari. Proteina C-reattiva
(PCR), fibrinogeno e albumina sono altamente correlati tra di loro e con
altri fattori di rischio CV noti, ma non è chiaro se essi riflettano
solo la gravità del processo aterosclerotico sottostante o siano
in realtà coinvolti nella patogenesi. Gli scopi di questo studio
erano: confrontare le associazioni tra diversi biomarker di infiammazione,
mortalità vascolare e i livelli lipidici; valutare gli effetti
dell'aggiustamento di queste associazioni per i fattori di rischio CV
noti; comparare le associazioni con la mortalità vascolare e quelle
con la mortalità non vascolare; stimare il valore predittivo di
elevati livelli di PCR sulla sopravvivenza. Dall'analisi di 5360 soggetti
anziani, è emerso che alti livelli di PCR e bassi livelli di albumina
sono forti predittori della mortalità vascolare e non vascolare,
indipendentemente da altre caratteristiche.
[BIOMARKERS OF INFLAMMATION PREDICT BOTH VASCULAR AND NON-VASCULAR MORTALITY
IN OLDER MEN. Eur Heart J 2008; 29:800-809]
LIVELLI
PLASMATICI DI SELENIO E MORTALITÀ TOTALE, CARDIOVASCOLARE E PER
TUMORI
Il
selenio è un oligoelemento essenziale importante nelle difese dallo
stress ossidativo, tuttavia può divenire tossico anche per quantità
di apporto dietetico o da integrazione non particolarmente elevate. In
questo studio le concentrazioni seriche di selenio sono state misurate
in 14.000 soggetti, seguiti per 12 anni, e correlate con la mortalità
totale, per tumori e cardiovascolare. Nei soggetti del terzile superiore
(selenio serico >=130 ng/dL) si è osservata una riduzione del
rischio di mortalità per tutte le cause del 17% e di mortalità
per neoplasie del 31%, rispetto al terzile minore (<117 ng/dL). Livelli
particolarmente elevati (oltre 150 ng/mL) sono tuttavia risultati associati
ad un significativo aumento del rischio di mortalità totale. I
risultati ottenuti in questa ricerca, se da un lato confermano l'effetto
protettivo del selenio su mortalità e cancro, almeno fino a valori
serici di 150 ng/mL, dall'altro suggeriscono che concentrazioni superiori
non solo non apportano un beneficio aggiuntivo, ma possono al contrario
essere dannose. Lo studio, inoltre, non ha messo in luce nessun beneficio
sull'incidenza di eventi cardiovascolari.
[SERUM SELENIUM LEVELS AND ALL-CAUSE, CANCER, AND CARDIOVASCULAR MORTALITY
AMONG US ADULTS. Arch Intern Med 2008; 168:404-10]
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CALCIO,
MAGNESIO, VITAMINA D E VITAMINA K E INCIDENZA DI FRATTURA ALL'ANCA
La
frattura dell'anca rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica
e il più grave esito dell'osteoporosi e sta diventando sempre più
frequente con l'aumentare dell'età media della popolazione mondiale.
Il calcio, il nutriente più studiato nel campo della salute delle
ossa, è noto per la sua efficacia nel ritardare la perdita ossea
nelle donne in post-menopausa e nel suo metabolismo giocano un ruolo importante
il magnesio e la vitamina D. La vitamina K, originariamente conosciuta
come fattore necessario alla coagulazione del sangue, è stata recentemente
studiata per il suo ruolo nel metabolismo osseo. Questo studio aveva come
obiettivo l'analisi dell'associazione tra incidenza di fratture all'anca
e apporto di questi quattro nutrienti. La ricerca ha stabilito che la
vitamina K potrebbe avere un effetto preventivo verso le fratture ossee
e influire positivamente sull'osteoporosi. Questo ruolo benefico è
abbastanza nuovo e non del tutto chiarito, tuttavia gli autori concludono
con il suggerimento di rivedere le raccomandazioni di assunzione diversificandole
secondo i dati epidemiologici delle diverse regioni nel mondo.
[ASSOCIATION OF HIP FRACTURE INCIDENCE AND INTAKE OF CALCIUM, MAGNESIUM,
VITAMIN D, AND VITAMIN K. Eur J Epidemiol 2008; 23:219-225]
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