Relation of Gemfibrozil Treatment and Lipid Level With Major Coronary Events. VA-HIT: A randomised Controlled Trial

SJ Robins, D Collins, JT Wittens, V Papademetriou, PC Deedwania, EJ Schaefer, JR McNamare, ML Kashyap, JM Hershman, LF Wexler, H Bloomfield Rubins per il VA-HIT Study Group
(JAMA March 28, 2001; 285 (2): 1585-1591)

Riassunto
INTRODUZIONE I bassi livelli plasmatici di colesterolo HDL sono uno dei maggiori fattori di rischio per la malattia coronarica (CHD). Lo studio in prevenzione secondaria, VA-HIT, ha dimostrato che gli eventi CHD diminuivano significativamente trattando i pazienti, in cui la patologia predominante era la bassa concentrazione di HDL, con un derivato dell'acido fibrico, il gemfibrozil, per un periodo di 5,1 anni.
OBIETTIVO Determinare se la riduzione degli eventi CHD maggiori con il gemfibrozil, osservata nello studio VA-HIT, potesse essere attribuita a modificazioni dei livelli dei principali lipidi plasmatici.
DISEGNO Studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, svolto dal Settembre 1991 all'Agosto 1998, nel "Department of Veterans Affairs Cooperative Studies Program" con la partecipazione di 20 Centri Clinici.
PARTECIPANTI Un numero totale di 2531 uomini con storia pregressa di CHD e con bassi livelli di colesterolo HDL (media, 32 mg/dL [0,83 mmol/L]) e di colesterolo LDL (media, 111 mg/dL [2,88 mmol/L]).
TRATTAMENTI I partecipanti sono stati randomizzati al trattamento con gemfibrozil, 1200 mg/die (n=1264) o con placebo (n=1267).
END POINTS Relazione dei livelli lipidici basali e durante i primi 18 mesi dall'inizio del trattamento con incidenza combinata di IMA non fatale e morte per CHD.
RISULTATI La concentrazione dei livelli di HDL è risultata inversamente correlata con gli eventi CHD. L'analisi multivariata di Cox ha mostrato come il gemfibrozil abbia ridotto dell'11% gli eventi CHD per ogni aumento di 5 mg/dL dei livelli di HDL (p=0,02).
Durante la terapia con gemfibrozil, solo l'aumento delle HDL è risultato significativamente predittivo di un minor rischio di eventi CHD; da un'analisi multivariata né i livelli di trigliceridi né quelli di colesterolo LDL al basale o durante lo studio hanno predetto gli eventi CHD.
CONCLUSIONI Le concentrazioni di HDL raggiunte con gemfibrozil predicono una riduzione significativa degli eventi coronarici in pazienti con bassi livelli di questa lipoproteina. Tuttavia, la modificazione dei livelli di HDL, spiega solo parzialmente l'effetto benefico del fibrato.

Commento
Una serie di studi osservazionali hanno dimostrato che il colesterolo HDL è il più potente predittore lipidico di rischio di malattia coronarica negli uomini e nelle donne di età superiore ai 49 anni. Lo studio AFCAPS/Tex-CAPS, in cui i soggetti erano stati randomizzati al trattamento con lovastatina o placebo, ha riportato un forte beneficio dovuto al trattamento, particolarmente in quei pazienti con livelli di C-HDL inferiori o uguali a 35 mg/dL al basale; in questo gruppo il trattamento con la statina era associato ad una riduzione del 45% degli eventi.
L'altra principale condizione di dismetabolismo lipidico legata all'insorgenza di infarto del miocardio e ad un aumentato rischio di malattie coronariche nella popolazione è la presenza di elevati livelli plasmatici di trigliceridi.
Negli ultimi anni l'attenzione di molti studi clinici osservazionali e di intervento si è concentrata soprattutto sui soggetti con moderata o elevata ipercolesterolemia totale ed LDL, tralasciando di verificare se un intervento farmacologico adeguato su C-HDL e TG potesse produrre effetti benefici sull'insorgenza di eventi CHD.
Lo studio VA-HIT, promosso dal Veterans Affairs, si proponeva l'obiettivo di verificare, in pazienti coronaropatici (che avevano subito un infarto del miocardio o avevano angina o altre condizioni cliniche che indicavano malattia coronarica), l'efficacia della terapia con un farmaco, il gemfibrozil, in grado di ridurre i livelli circolanti di trigliceridi ed aumentare quelli di colesterolo HDL. Un'alta proporzione di soggetti arruolati con bassi livelli di C-HDL avevano anche le caratteristiche della sindrome metabolica. Il C-HDL è stato aumentato del 6% dal trattamento con il fibrato, il CT è stato ridotto del 4% ed i TG del 31%. Non si sono invece osservate variazioni nei livelli di C-LDL. Queste modificazioni lipidiche erano associate ad un riduzione cumulativa del 22% dell'end point primario. Inoltre una riduzione significativa degli end point secondari, comprendenti morte per CHD, IMA non fatale, TIA, endoarteriectomia carotidea erano associati all'aumento di C-HDL. In questo studio, per ogni 1% di aumento dei livelli di C-HDL, si osservava una riduzione del 3% di morte o di IMA (in altri termini una riduzione degli eventi di circa l'11% per ciascun aumento della lipoproteina di 5 mg/dL), un beneficio terapeutico sicuramente superiore a quello prodotto dalla riduzione del C-LDL.
I risultati di questo studio sono in accordo con quanto riportato nello studio HHS (Helsinki Heart Study), condotto sempre con gemfibrozil in Finlandia circa 15 anni fa; esso documentava come l'efficacia di questa terapia fosse legata all'aumento del colesterolo HDL e alla riduzione dei trigliceridi senza che intervenissero variazioni significative del colesterolo LDL. Anche lo studio BIP (Bezafibrate Infarction Prevention) ha dimostrato una correlazione significativa tra la riduzione di morti per CHD e di IMA non fatali e la riduzione dei TG in un campione di soggetti con livelli basali >200 mg/dL.
Queste evidenze di una riduzione degli eventi CHD, che non coinvolge la colesterolemia LDL, ha una notevole rilevanza clinica, in quanto fornisce una possibilità di intervento anche per quei soggetti con forme di dislipidemie non trattabili in modo efficace con le statine; inoltre la terapia con gemfibrozil è abbastanza sicura (fatto salvo se in associazione con altri farmaci) e permette di prevenire una serie di eventi vascolari, a costi relativamente modesti.
Un limite di questo studio è la selezione di soggetti di sesso maschile, per cui i risultati non sono direttamente estendibili alla popolazione femminile.
Inoltre sono stati esclusi i soggetti con livelli elevati di C-LDL e di TG >300 mg/dL. Tuttavia, la scelta di porre limitazioni ai livelli di LDL è stata opportuna in quanto ha permesso di ottenere risultati più chiari.
Studi epidemiologici pubblicati a partire dal 1965 hanno stabilito che la ipertrigliceridemia può predire il rischio di malattie CV in modo statisticamente indipendente della colesterolemia HDL. Ciononostante, la relazione di concentrazioni di TG plasmatici al rischio di malattie CV resta di difficile identificazione, in parte perché i TG sono veicolati in lipoproteine di differente aterogenicità, in parte perché l'ipertrigliceridemia è associata a processi aterogenici e trombogenici non lipidici. Livelli di TG superiori a 400-500 mg/dL non correlano con l'insorgenza eventi CV perché in queste condizioni si accumulano lipoproteine diverse dai remnant dei chilomicroni, che rappresentano le lipoproteine più aterogene. Nel caso di trigliceridemie più modeste, l'accumulo di remnant dei chilomicroni è molto più elevato e la scelta fatta dagli autori del VA-HIT ha permesso di individuare soggetti portatori di questo difetto metabolico con un più alto accumulo di remnant. L'associazione del più alto livello di rischio di malattia CV ad una moderata, piuttosto che grave, ipertrigliceridemia può essere quindi compresa in termini di distribuzione dei TG tra le differenti classi di lipoproteine plasmatiche. Queste complesse relazione metaboliche spesso non sono del tutto chiare al Medico che può operare una scelta sbagliata della terapia, quale ad esempio quella di ridurre i livelli di CT e C-LDL.
In generale lo studio appare ben disegnato e di buona applicabilità alla pratica clinica, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione secondaria in quella parte di soggetti che non sono ipercolesterolemici, ma presentano forme più complesse di dislipidemia e che rappresentano una larga parte dei pazienti che sviluppano una patologia coronarica.